In seguito all’incontro tra la nostra delegazione e la presidente del Partito Democratico, Valentina Cuppi, domenica sera 180 sardine da tutta Italia si sono riunite online per riflettere su ciò che era avvenuto nel week-end e condividere un pensiero che, come spesso accade in un movimento, assume mille sfumature. Come redazione blog abbiamo voluto provare ad assemblare i pezzi, le frasi, le espressioni usate negli oltre 50 interventi di domenica per restituire un ragionamento plurale ma comune. 

Quello di sabato è stato un big-bang perché ha dato voce a qualcosa che era ben presente nella società e anche tra le file del PD stesso. Ringrazio chi ha avuto il coraggio di agire e ci ha nuovamente scossi dal torpore politico che ben rappresenta lo stato di difficoltà dell’intera comunità del centrosinistra. Per questo motivo non possiamo rimuovere una riflessione sulle ragioni di questa crisi. La soluzione va cercata certamente nella politica, ma anche nei comportamenti assunti nel corso di questi anni. La situazione del Partito Democratico ci riguarda e ci dice molto. Dal 2007 ad oggi se non ho contato male sono stati 10 i segretari che si sono susseguiti all’interno del PD. L’ultimo, Zingaretti, che all’interno del partito aveva circa il 70% dei consensi, si è dimesso usando la parola “vergogna”.

Milito nei partiti da tanti anni e ho sempre assistito ad appelli per aprire le porte alle associazioni, alla società civile. Ma un’apertura reale a dialogare sui temi e su una visione non l’ho mai vista. Oggi abbiamo il dovere etico e morale di fare questo passo, crediamo che l’unica strada possibile sia quella di una “Piazza Grande” o di un “Mare Aperto”, un campo social-progressista che possa unire nelle diversità nel segno di un nuovo paradigma etico e sociale. Condivido il voler dialogare con le forze di sinistra progressista e auspico, quindi, che questa fase interlocutoria sia solo iniziata con il PD e prosegua con tutte le altre forze progressiste di sinistra.

Dall’altro canto, se va bene rendersi protagonisti, riempire vuoti e cercare di avere una voce nella politica, non dobbiamo dimenticare i nostri progetti: vedi le assemblee cittadine, il progetto di lustro per una ripresa realmente green, le assemblee sul clima, la richiesta di cittadinanza per Patrick Zaky, la battaglia per combattere il tabù legato al mondo della canapa. Non perdiamo di vista le associazioni territoriali e nazionali con cui in questi mesi abbiamo condiviso preziose campagne e visioni. 

Allo stesso tempo dobbiamo stare tra la gente, darle opportunità di essere ascoltata, di fare, di partecipare, di creare, di sentirsi parte di qualcosa di bello e arricchente; insomma, dobbiamo mantenere il bellissimo spirito che si respirava nelle prime piazze.

Siamo sardine perché non possiamo pensare che il domani sia scritto al tavolino o in una stanza ma deve essere un nuovo processo da abitare di una nuova socialità diffusa e allargata. Siamo dei portatori sani di questa “utopia della realtà”. 

Proponiamo nuove forme di democrazia e partecipazione, dalle assemblee civiche alla valorizzazione delle primarie, non solo per l’elezione del segretario del PD, ma anche per scegliere i candidati alle politiche ed evitare almeno in parte il problema delle liste bloccate con candidati scelti dalla Segreteria del Partito e così coinvolgere la base.

Bisogna insistere nel sollecitare il confronto, in modo costruttivo senza per forza metterci in contrapposizione.

Se uno degli obiettivi delle sardine è cambiare e migliorare la politica dobbiamo rassegnarci al fatto che non è fattibile in tempi brevi, c’è bisogno di un cammino sicuramente più lungo per procedere rimanendo fedeli alla nostra genuinità. Ora abbiamo un compito una responsabilità enorme, che forse abbiamo sempre avuto ma magari fino ad oggi non era così tangibile. E cioè quello di fare da collante tra il PD, gli altri soggetti politici, la società civile, le associazioni. Di partecipare alla creazione di un  campo più vasto, aperto e plurale. Da oggi dobbiamo smettere di dire io, voi, loro e iniziare a dire NOI.

C’è bisogno di strategia, lungimiranza e condivisione di una riflessione comune che ci deve far crescere insieme senza farci arretrare di fronte alla parola “politica”. Perché quella che stiamo facendo è politica e non esistono altri sinonimi.

Credo, dunque, che ci sia bisogno di organizzare due percorsi convergenti: uno che si occupi della politica portandole la voce delle persone ed uno che si occupi delle persone portando loro la voce della politica.

Cogliamo davvero questa sfida: apriamo la nostra discussione a tutte le sinistre sociali e politiche senza steccati e senza vincolarla alle diverse collocazioni. Credo sia necessario discutere di come si costruisce una soggettività a sinistra, prima e a prescindere dalle scelte elettorali, e di come costruire proposte elettorali in grado di interpretare la sofferenza sociale e contrastare efficacemente le destre e, soprattutto, per essere all’altezza dei problemi del nostro Paese.

Oggi, in modo più netto che in passato, emerge la connessione tra crisi economica e finanziaria, crisi ecologica, crisi democratica e istituzionale. In questo scenario si esplicita una specifica crisi della politica intesa sia come capacità di prefigurare alternative, sia come capacità di mettere in relazione conflitti, bisogni e forme di organizzazione e rappresentanza all’altezza dei fenomeni in corso. 

Possiamo rilanciare noi nel dibattito pubblico una proposta per unire i pezzi della società che si sentono divisi, che chiede maggiore protezione sociale in un momento di crisi devastante come questo, rilanciando i temi che sono rimasti estranei alla politica per tanto tempo e che sono riemersi con l’esplodere della crisi pandemica.

Questa nuova crisi ci costringe ad aggiornare la cassetta degli attrezzi per analizzare in chiave critica il modo in cui viviamo, il modo in cui produciamo le nostre merci, come utilizziamo l’energia, come consumiamo, al nostro rapporto con la natura, ma anche e soprattutto come si riorganizza la politica e se i partiti come li abbiamo conosciuti siano adatti ad affrontare la nuova fase storica.

Dobbiamo dialogare con le figure apicali del PD ma anche con i militanti. Questi ultimi, in molti circoli, hanno già dato forma al concetto di Piazza Grande. Non possiamo limitarci alla refrattarietà di molti dirigenti ma guardare a chi ogni giorno restituisce dignità alla politica sui territori, nelle sedi locali, nei consigli comunali.

Lanciamo una chiamata alla sinistra che non parla ma ascolta. Proviamoci. 

Per il bene comune, con un metodo comune.  

Proviamoci.