La nostra TERRA è malata, il modo in cui abbiamo organizzato la nostra vita ha prodotto tante e tali distorsioni cha ha compromesso seriamente l’intero ecosistema.

Bisogna ripensare interamente il nostro sistema di produzione, quello alimentare, quello energetico, il modo di costruire e trasformare le nostre città, come produciamo i rifiuti e come gestiamo gli scarti. 

La pandemia ha evidenziato drasticamente la crisi profonda che stiamo attraversando. I Governi non sembrano aver in pieno compreso la portata delle trasformazioni che bisogna mettere immediatamente in atto.

Il Recovery Plan poteva essere un tassello dal quale iniziare la necessaria rivoluzione che dobbiamo affrontare per garantire l’esistenza alle generazioni future.

Un documento ambizioso “ma senza anima” che non è in grado di tracciare un incisivo percorso per impiantare radici robuste per una reale inversione di tendenza sul piano ambientale.

Alcuni principi potrebbero essere anche condivisibili, ma il Piano è debole sia sul livello operativo, sia su quello strategico. 

Il PNRR Trascura il Mezzogiorno. 

Dell’intero pacchetto il 40% delle risorse sono destinate al Mezzogiorno. Non rispetta il principio di compensazione della politica di coesione europea. Le risorse dovrebbero essere spese prioritariamente in sinergia con quelle inserite nella programmazione 2021-2027 concentrandole dove maggiormente tale programmazione insiste. In tale programmazione tutte le otto regioni del Sud sono nella tipologia delle regioni in ritardo di sviluppo e quindi nel quadro finanziario pluriennale a tali regioni nella precedente programmazione spettava più del 50% delle risorse. Vale la pena ricordare che tra i criteri di valutazione rientra anche l’accertamento dell’effettivo contributo del PNRR al miglioramento della coesione territoriale e la convergenza. Il Piano allo stato attuale offre una vaga e senz’altro riduttiva e penalizzante programmazione per le regioni del Mezzogiorno, non tenendo nella giusta considerazione forme di doverosa e necessaria compensazione.

Per quanto riguarda la questione trainante della transizione ecologica bisogna rilevare che sono mancate una discussione e iniziative capaci di raccogliere quanto è stato già proposto su questo tema dalle realtà che hanno sviluppato esperienze in questo settore, ma anche nel campo del mutualismo e dei diritti, attraverso un confronto aperto e partecipato.

La capacità di coniugare innovazione, diritti, lavoro e ambientalismo non è riducibile a sommatoria di assi e misure: la ripresa e il cambiamento non possono essere ridotte a tale sommatoria. L’obiettivo dei diritti, dell’equità, dell’innovazione e del lavoro non sono questioni distinte dall’ecologia e dalla critica ai modelli di produzione. Assumere questa prospettiva vuol dire mettere in discussione il modo di produrre ricchezza, non limitarsi a rivendicarne la redistribuzione. 

La riconversione ecologica richiede un approccio sistemico alle questioni che abbiamo innanzi, non solamente soluzioni di carattere tecnico o compensativo come risposta ai problemi. 

Se davvero si vuole sfidare questo livello di complessità si deve provare a tradurlo da subito nelle proposte programmatiche e nelle iniziative del Governo sugli investimenti agganciati ad una visione strategica di medio e lungo periodo. Questo però richiede una diversa radicalità della proposta e non il contrario. Servono programmi concreti, interconnessi, controllabili, capaci di verificare i risultati attesi, con la consapevolezza che queste scelte implicano la necessità di un quadro organico di riforme e di politiche pubbliche in grado di arginare e correggere le distorsioni prodotte dal libero mercato. Nel testo finale del “Governo dei Migliori” la Missione M2 ha un budget totale di 59,33 Miliardi e viene confermata la ripartizione nelle quattro aree che comprendono la “rivoluzione verde”. 

La “rivoluzione” assegna 23,78 Miliardi, con il 40%, alle transizione energetica ed alla mobilità sostenibile; riduce a 15,22 Miliardi, pari al 25%, le risorse per l’efficientamento degli edifici; aumenta a 15,06 Miliardi, pari al 25%, le risorse per la tutela del territorio e delle risorse idriche e lascia risorse irrisorie pari 5,26 Miliardi con il 9% dell’intera Missione 2 all’agricoltura sostenibile ed all’economia circolare.

Le risorse previste per una Agricoltura sostenibile sono pari a 2,8 Miliardi, mentre per l’area “Economia circolare e ciclo dei rifiuti” restano solo 2,1 Miliardi (l’1% dell’intero PNRR), che evidenziano la totale sottovalutazione delle risorse necessarie al ripensamento del ciclo dei rifiuti.

Qui più che altrove si evidenzia l’insufficienza delle misure volte alla riduzione delle emissioni in atmosfera dall’attuale ciclo incentrato ancora in maggioranza su processi di combustione e di conferimento in discarica dei rifiuti urbani. 

Per quanto riguarda la transizione energetica e la mobilità sostenibile l’obiettivo generale dovrebbe essere quello di intervenire massicciamente sul settore dell’energia e dei trasporti, responsabili insieme di circa il 50% delle emissioni totali di gas effetto serra in Italia. Però, immaginare che la transizione energetica possa essere trainata dal “vettore Metano e Bio-Metano” è errato, in quanto recenti studi dimostrano che gli effetti di emissioni di metano in atmosfera portano a conclusioni opposte rispetto alla riduzione indispensabile di gas serra. Inoltre è evidente che, nel caso della produzione sia dell’idrogeno grigio che dell’idrogeno blu, i processi sono legati all’uso di combustibili fossili come il metano, “che contraddicono tutta la filosofia legata alla transizione ecologica ed al radicale contrasto alle emissioni climalteranti in atmosfera (anidride carbonica – metano) quali fonte dei cambiamenti climatici in atto”. Questi solo alcuni elementi di riflessione critica che mettono in risalto che il Governo è molto distante dal produrre quel “Piano epocale” capace d’iniziare quella “Rivoluzione Verde” necessaria a generare quel cambio di paradigma tanto auspicato, ma nei fatti, non praticato.

Riccardo Festa