Il dissenso, inteso dal vocabolario Treccani come “diversità di parere o sentimento” è una parte fondamentale dell’essere umano nel suo sviluppo e nella capacità di manifestare sé stesso.
La mancanza di opportunità di libera espressione nella società occidentale odierna consegue dalla consuetudine di escludere l’individuo dagli organismi sociali in cui è inserito, per il solo fatto di aver espresso un dissenso. Non accodarsi e non accordarsi con il capo può comportare infatti l’espulsione da un movimento politico come la perdita del posto di lavoro o, a volte, dalla propria famiglia.
Il costante derby nel quale si muove la società di oggi aliena e annulla la volontà dell’individuo, costretto a decidere di quale Club essere parte, in base alla circostanza.
La capacità di scegliere la propria appartenenza viene spesso delegata all’utilità del momento in cui si effettua tale scelta e non a quello che è il sentire personale. Si preferisce spesso accontentarsi di un clan convinti di poter ottenere qualcosa. Lo scopo viene preferito al benessere proprio e collettivo. Di conseguenza l’individuo si trova inevitabilmente a dover rinunciare a delle parti di sé, della sua volontà, del suo pensiero, del suo agire, in nome di un gruppo, o di un capo, o di un leader, se vuole restare all’interno di quel Club che ha scelto. Perché ci siamo detti da soli che l’umano solitario conta molto meno rispetto a quelli raggruppati. La società ha deciso, poi, di suddividersi ulteriormente, in cerchi a tenuta stagna, non comunicanti e autoreferenziali con regole chiare e definite. Se stai da questa parte agisci in questo modo, se sei dall’altra io presumo tu agisca e pensi in quest’altro.
All’interno di questi atomi, organismi pluri e monocellulari, isolati, chi è in accordo con il capo di turno riesce a sopravvivere e quindi a mantenere la sua appartenenza solo in virtù dell’essere un buon seguace, e quasi mai per meriti dovuti al contributo dato. D’altra parte, chi ha un pensiero critico, un pensiero libero, chi pensa di poter migliorare quello che c’è, viene escluso e spesso eliminato perché scomodo.
Mi viene in mente “Astaroth” di Stefano Benni, in cui c’è un diavolo (Astaroth per l’appunto) che racconta di come sia successa la divisione tra gli angeli e i demoni, che poi vennero cacciati dalla presenza divina, e vennero messi all’inferno: semplicemente perché in paradiso c’era chi pensava che le cose andassero bene così, mentre quelli che pensavano che le cose si potessero migliorare furono sbattuti e relegati all’inferno.
Il dissenso quindi va eliminato sempre, per mantenere l’ordine apparente del gruppo sociale.
l fenomeno curioso è che ci troviamo ad avere dei confini sempre più netti, sempre più definiti, tra i gruppi sociali, movimenti e, Partiti, frammentati in sottogruppi e sottocorrenti, che ballano come figure in un caleidoscopio. E c’è sempre una parte,sociale o politica, che chiede di eliminare i confini, di rinunciare a un’identità per accogliere le altre: identità e inclusione diventano così l’una l’antitesi dell’altra
Ci dicono che tutti siamo uguali, tutti contiamo allo stesso modo, abbiamo lo stesso peso, ma certamente solo finché la pensiamo allo stesso modo del partito, del capo, del padrone, altrimenti i confini vengono eretti, per non permetterti più di prendere parte al mio discorso. I confini sono una membrana semipermeabile, che consente di entrare solo se sei affine al leaderissimo.
Ci si è stupiti dei muri fisici costruiti contro gli stranieri, ma ci si stupisce meno dei muri comunicativi che non permettono alle persone di esprimersi liberamente.
Anche in un luogo libero come il dibattito, che dovrebbe essere confronto tra persone secondo una maniera civile, a volte accade che non ci si può confrontare liberamente perché l’interlocutore è molto spesso più incuriosito, interessato, a capire qual è la fazione a cui appartieni, qual è il pensiero a cui ti sei ispirato, che non al tuo grado di conoscenza dell’argomento, scollegandosi dall’ascolto attivo di quello che l’interlocutore stai dicendo.
L’ascolto è viziato: “io sento quello che l’altro mi dice semplicemente per poter replicare”. Replicare, per i più, è più importante dell’ascoltare veramente e comprendere le ragioni dell’altro, ma se non ascolto non capisco, se non capisco non posso agire. Le manifestazioni di Piazza, ad esempio, sono un momento meraviglioso in cui ci si incontra con mille altri parti di sé che all’unisono sentono il richiamo di unità. L’interno e l’esterno comunicano chiaramente. Ma quale interno? Non è l’intero interno ma solo una parte, quella che maggiormente comunica con il clan scelto e che si è maggiormente fatta spazio. Quindi quando decido come individuo di partecipare a una manifestazione, non manifesto nella mia interezza ma è solo una parte di me, che è stata ascoltata, che può manifestarsi, poiché è già stata manifestata, ascoltata, compresa e nutrita.
Va fatto un discorso politico sul dibattito, sullo scambio, sui metodi di contaminazione, affinché le idee possano trovare il loro giusto corpo e solo successivamente muoversi, scendere in piazza.
Finché le idee non sono incarnate, non sono digerite, non trovano il loro giusto corpo, non trovo opportuno scendere in piazza, perché altrimenti le idee diventano slogan, diventano delle etichette vuote, prive di contenuto. Si scende perché si è sentito dire all’amico, si scende perché alla fine ci si diverte. A volte è la mera frustrazione a spingere la gente a scendere in piazza a protestare.
Lo abbiamo visto anche con l’esperienza del MoVimento 5 Stelle, che una volta al potere, in mancanza di una forte identità, sono stati questo o quello, in base a ciò che al momento sembrava opportuno: populisti e sovranisti con Salvini, europeisti con il PD. Il tutto e il contrario di tutto, con i valori che hanno completamente ceduto il passo a etichette ormai svuotate di senso, attaccate alle persone e non ai contenuti..
Secondo Jean Paul Sartre l’inferno sono gli altri. Secondo me senza gli altri non esiste né l’inferno e nemmeno il paradiso. Ma gli altri sono la porta, l’ingresso per accedere sia al paradiso che all’inferno. Liberiamo e abbattiamo i confini, non solo tra le nazioni ma anche tra le persone, vicini di casa, di altre città, di altre regioni, di altre appartenenze politiche. Bisogna abbandonare questa visione del mondo platonica, delle idee che sono per forza l’una l’opposto dell’altra. Questo voler schiacciare le persone e il loro sentire tra il bianco e il nero significa abbandonare la complessità del reale e abbandonare il suo elemento più umano: la diversità. Se la società, chi fa e vuole fare politica, non si occupa delle sfumature si è già persa la partita. Non si potrà mai andare da nessuna parte finché non si è diversi dagli altri.
Non si dovrebbe mai chiedere a nessuno di strizzarsi dentro una categoria o dentro un gruppo perché gli si sta chiedendo di abdicare a sé stesso e di costituire una massa informe. Questo è quanto di più lontano ci sia dalla democrazia.
Mirko Yonathan Ciotta
Fonti
-
Benni S. (2005), Astaroth.
-
Dianda M., La contraddizione europea del M5S, Eurobull, 17/3/2019.
-
Sartre J. P. (1944), A porte chiuse.