Una delle peculiarità più interessanti del neoliberismo riguarda l’aver messo in relazione la metodologia utilizzata per governare gli uomini con quella adoperata dai soggetti per governare sé stessi.

L’elemento da sottolineare riguarda la nascita di un nuovo modello di soggettività; questa risulta basata su una logica contabile e finanziaria che porta l’individuo a rapportarsi verso sé stesso come se la sua essenza fosse meramente di natura economica.

Si viene a creare così un parallelo tra essenza umana e capitale.

I soggetti sono portati a seguire una sorta di logica aziendale legata alla massimizzazione del profitto e all’unificazione delle differenti sfere della vita come quella privata/personale, professionale, quella legata alla partecipazione politica etc..etc..

La logica d’impresa viene promossa come pratica di governamentalità del sé, come affermato da Michel Foucault in ‘’Nascita della Biopolitica’’. Essa si impone come disposizione interiore che permette alle persone di governarsi autonomamente attraverso una sorta di razionalizzazione tecnica, come se ogni individuo fosse diventato, per l’appunto, una piccola impresa autogestita. La stessa dinamica viene utilizzata per regolare il rapporto con il mondo esterno.

È a partire da questo presupposto che la logica del management permette al linguaggio dell’efficienza produttivo-economica di fondersi con quello legato alla dimensione affettiva, tanto da poter affermare l’esistenza di una forma di ‘’capitalismo affettivo’’ al cui interno la dimensione emotivo-affettiva si trasforma in capitale sociale. O, meglio, in successo nella sfera lavorativa.

Questo cambiamento, accompagnato dal passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica, dall’omogeneizzazione e standardizzazione delle offerte emotive e dalla razionalizzazione manageriale del desiderio, ha permesso la produzione di determinate ‘’regole del sentire’’, fondamentali per la costruzione di una precisa soggettività neoliberale.

In uno scenario sociale caratterizzato dallo smantellamento dei più tradizionali strumenti di assistenza garantiti dal Welfare State, le ‘’regole aziendali del sentire’’ permettono alle persone di lavorare su sé stesse nel vero senso del termine. Inizieranno a percepirsi simultaneamente sia come aziende che come prodotto e di conseguenza dovranno rendersi sempre più malleabili, aperte alle modifiche strutturali e soprattutto positive, ovvero felici di accogliere eventuali cambiamenti senza perdere l’efficienza imposta dal mercato, dimensione sempre più centrale.

In questo scenario una posizione di rilievo viene ricoperta dai media.

Essi sono fondamentali per promuovere una governamentalità sempre più simile ai principi caratterizzanti la sfera commerciale. L’utilizzo smisurato fatto dai più giovani, ma non solo, delle nuove piattaforme mediali come Facebook, Instagram, Twitter, YouTube, TikTok, permette di modellare le condotte degli utenti e di creare uno spazio pubblico inedito.

Qui si vede la fusione delle norme sociali con quelle sociotecniche relative al mondo online, mix utile per definire una tipologia di legame basato sulle regole della socialità fisica e digitale. Simboli, pratiche e significati mutano radicalmente e con esse anche le regole dello stare assieme. Le piattaforme modificano così le ‘’regole socio-comportamentali’’.

Il contenuto e le relazioni innescate dalla comunicazione vengono considerati dati da rielaborare grazie agli algoritmi per organizzare e contrassegnare ogni tipo di esigenza, gusto e atteggiamento al fine di classificare i vari utenti all’interno di precise sezioni di mercato.

Gli algoritmi, in questo caso, indirizzeranno virtualmente le persone verso determinate tipologie di contenuti ritenuti potenzialmente interessanti per le stesse, concretizzando così il passaggio verso il Platform Capitalism: una macchina organizzativa che vede i soggetti come elementi preziosi per garantire il mantenimento del modello capitalistico.

In sostanza, le piattaforme “incoraggiano gli individui all’utilizzo di una logica neoliberale nella coordinazione dei rapporti di rete, perché le proprie risorse personali ed espressive vengono concepite e usate come una raccolta di assets che devono essere continuamente coltivati, gestiti e sviluppati” (Martin, 2000).

I social media nello specifico hanno reso le relazioni umane più fredde, quasi devote all’apparenza in seguito all’importanza data ad eventuali ricondivisioni, like, commenti, tweet e retweet, come se questi permettessero di migliorare la nostra persona grazie alla notorietà conquistata nel mondo virtuale, destinata a rimanere tale.

Per quale motivo questi piccoli segnali di approvazione risultano così importanti?

La risposta è tanto semplice quanto allarmante. Essi sono in grado di veicolare una sensazione di interazione costante che spinge l’individuo a compiere qualche azione similare per promuovere il proprio brand personale.

Gli algoritmi non solo facilitano il frazionamento della platea a seconda delle preferenze, ma organizzano le relazioni tra gli utenti ed il contesto sociale di riferimento, promuovendo un tipo di comportamento sociale in grado di rendere obsoleta, se non impossibile, l’adozione di un’ottica alternativa a quella da loro proposta.

Jodi Dean, nel 2010, propose il concetto di ingiunzione alla partecipazione per descrivere la gabbia comportamentale e comunicativa in cui gli individui vengono idealmente rinchiusi. Questa forma di pressione sociale non potrebbe funzionare se non fosse alimentata da una spinta affettiva.

Parliamo dell’importanza del desiderio di ricevere una gratificazione personale, riconoscimento offerto su tutte le piattaforme mediali costruite sul legame visibilità-partecipazione algoritmica.

Questa possibilità caratterizza sentimentalmente le interazioni virtuali rendendole portatrici e trasmettitrici di affetto. La ricompensa affettiva, però, accontenta solo parzialmente il soggetto poiché una delle sue caratteristiche è proprio quella relativa alla temporaneità della soddisfazione: questa gratifica l’individuo solo per un istante, prima di svanire costringendolo alla ricerca di un nuovo appagamento.

Possiamo ritenere la logica algoritmica dei social network funzionale al dispositivo di godimento che governa il soggetto neoliberista.

I principi affettivi del neoliberismo, come il successo e la notorietà si trovano però attualmente in crisi.

Incapaci di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti e di costruire una struttura comportamentale capace di dare voce ai sentimenti negativi che possono generarsi da questa dinamica. Così, in seguito all’indebolimento dei quadri istituzionali e delle strutture simboliche, grazie alle quali i soggetti riescono a strutturare le rispettive identità e posizioni sociali, essi cercheranno di affidarsi a nuove metodologie di gestione affettiva.

Gli incitamenti affettivi caratteristici del sentire neoliberale si capovolgono mostrando il loro aspetto negativo alimentando, ad esempio, fenomeni come il sovranismo, il nativismo e il populismo partigiano, capaci di diffondersi facilmente grazie alle caratteristiche dell’Internet che strizza l’occhio ad un tipo di informazione superficiale.

Le emozioni diffuse sulle piattaforme diventano il collante necessario per costituire dei gruppi sociali coesi.

Esse svolgono la funzione di un vero capitale sociale affettivo che concretizza la differenza tra ingroup e outgroup, identificato come origine di tutti i mali vissuti dal gruppo di appartenenza.

Questo meccanismo si può definire polarizzazione affettiva, uno strumento di gestione emotiva che offre una strada maestra sul ‘’che cosa sentire’’ e ‘’come sentirlo’’, proponendo una semplificazione della realtà. Le regole del sentire riescono a definire il modo in cui gli individui inquadrano le situazioni sociali diventano parte strutturante dell’ideologia.

Così facendo, le emozioni sono funzionali alla messa in discussione di eventuali posizioni ideologiche differenti, come le proposte politiche relative all’accoglienza e all’integrazione dei migranti etichettate ‘’inutili e buoniste’’.

Considerato il “successo” delle attuali politiche conservatrici nel rappresentare le esigenze percepite dai cittadini individui, è sempre più importante veicolare una serie di regole del sentire che possano opporsi al dissenso dilagante, alla violenza fisica ed espressiva e alle politiche demagogiche proposte dai sempre più numerosi imprenditori morali.

Qui torna il valore delle reti di comunicazione capaci di offrire, attraverso l’incontro e il confronto tra persone volenterose di attivarsi socialmente e politicamente, una visione critica della narrazione dei fatti proposta dalle élite e dai mezzi di comunicazione.

Tiziano Rea

Fonti

  • Artieri G. B., Farci M. (2020), Le emozioni dell’alt-right. La dimensione neoliberale e affettiva delle piattaforme. Sociologia della Comunicazione.
  • Dardot P., Laval C. (2009), La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, Paris, La Découverte.
  • Foucault M. (2005), Nascita della biopolitica: corso al Collège de France (1978-1979), Apogeo Editore.
  • lllouz E. (2007), Cold intimacies: The making of emotional capitalism. Cambridge, UK: Polity Press.
  • Srnicek N. (2017), Platform Capitalism, Cambridge: Polity Press.