Dal 9 al 11 ottobre, nella stupenda ‘oasi’ di Assopace Palestina nel centro Bab al Shams, in italiano “La porta del sole”, nel borgo di Supino (FR), ospiti di Luisa Morgantini, si è svolta la prima Scuola di politica, giustizia e pace organizzata dalle 6000 sardine. A questa iniziativa, progettata da 6000 sardine, ho collaborato per l’organizzazione e, soprattutto, mi sono occupato dell’animazione dei gruppi dei partecipanti, i cui iscritti erano esclusivamente giovani di età compresa dai 18 ai 35 anni.

La storia degli ultimi decenni è stata segnata da una forte spinta verso il polo dell’individuo, inteso come particella elementare indipendente, monade orientata al proprio benessere materiale. Una tendenza che si è progressivamente rafforzata e ha cambiato radicalmente il nostro modo di essere. Per questo si parla di società individualistica. 

È avvenuto però che in una società profondamente organizzata oltre che individualistica, l’epidemia sta sconquassando dalle fondamenta il mondo intero e non passerà senza lasciare una traccia profonda. 

Forzati anche da questa nuova realtà, siamo così spinti verso il polo opposto: quello del gruppo, del legame sociale, della comunità, col rischio però di passare bruscamente dal polo dell’io al polo del noi. Tuttavia, passare velocemente dall’io al noi senza una piena consapevolezza degli ideali e valori comuni, rischia di deresponsabilizzare le singole persone e far creare loro un falso senso di appartenenza e una bugiarda lettura dei fatti. Questo rischio è già evidente dove si affermano un po’ dappertutto regimi autocratici con pulsioni sovraniste a destra e a sinistra con le tentazioni elitarie e l’esaltazione esagerata della competenza; vedi anche l’utilizzo dei social in pandemia delle stesse sardine, come strumento di adesione e partecipazione a un atto di cambiamento, anche se si tratta di un’azione a intermittenza, come l’indignazione che si accende e si spegne. Spinte che l’insicurezza pandemica rende ora ancora più forti.

È per questi motivi che 6000 sardine ha voluto far nascere una scuola per giovani affinché  cominciassero a comprendere e conoscere la grammatica della comunità. Una comunità educante. La linea della scuola che 6000 sardine sta tracciando costituisce un punto di riferimento fondamentale per il movimento e con un po’ magari di presunzione per l’intera società, per evitare che la giusta critica all’individualismo ci spinga fino all’estremo opposto della società chiusa o perfino della sorveglianza. Col suo insegnamento ai giovani, la scuola sta provando ad aiutare a ridefinire la grammatica delle relazioni sociali. Cosa di cui questo tempo ha estremo bisogno. Non si tratta tanto di dire che ogni singola persona è sempre in relazione con gli altri e fa parte di una comunità. Questo lo sapevamo già. Il punto è riqualificare in questo tempo i termini ‘relazione’ e ‘comunità’, sapendo che essi non sono la soluzione quanto piuttosto il terreno su cui si risolve quella tensione da cui siamo partiti. La società digitale iperconnessa rischia di stabilire solo relazioni funzionali tra individui nell’assoluta indifferenza reciproca. All’estremo opposto, le società chiuse costruiscono relazioni asfittiche e conflittuali. Ed è per sciogliere questa contraddizione che per me la Scuola di politica, giustizia e pace di Supino parla e agisce, ponendo tre questioni fondamentali e tendenzialmente rimosse nella cultura contemporanea e messe da parte anche da noi Sardine.

Primo: siamo in relazione e non possiamo che esserlo. Recuperare empatia con gli altri, con l’ambiente. Un’affermazione per certi aspetti palese, ma che si è negato per anni, affermando che esiste un io ‘a prescindere’, del tutto autonomo e indipendente. Ce lo ricorda l’ombelico che portiamo sulla pancia: noi siamo stati in relazione e in comunione prima ancora di essere individui. Possiamo esistere solo dentro reti di relazione… solo in comunità.

Secondo: questa dinamica relazionale si svolge oggi su tanti livelli. Relazioni con i nostri famigliari, con gli amici, con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro; ma poi anche relazioni che ci legano ai mondi culturali locali e nazionali a cui apparteniamo, relazioni digitali che arrivano ad abbracciare il mondo intero; relazioni gioiose e liberanti e altre dolorose e tragiche, come quelle nei confronti degli ‘ultimi’ e degli ‘invisibili’. Come dentro un frullatore, risulta tutto disperso e omogeinizzato troppo velocemente. Così, il nostro obiettivo credo sia quello di fare un po’ di ordine, ridarci priorità in una complessità in cui è facile perdersi.

Terzo: nessuna sfera di relazione può pensarsi come chiusa, cioè separata e indipendente da ciò che sta al di là. Al contrario ogni relazione non diventa patologica solo se riconosce il proprio legame con ciò che la supera. Con altre relazioni. E questo vale per una famiglia, una comunità, una società intera. Le relazioni e la comunità, in definitiva, sono vitali quando si danno confini porosi. Si diventa responsabili per osmosi.

Reimparare quindi la grammatica della comunità investendo sulle nuove generazioni: mi sembra questo il suggerimento prezioso che 6000sardine sta cercando di dare al movimento e all’intera nostra società.

Dentro la crisi pandemica c’è una spinta fortissima a ripensare le relazioni tra noi e col pianeta. Non ho mai scritto volutamente la parola “politica” perché penso che il primo passo per i giovani (e non solo giovani) che desiderano occuparsi del bene comune e quindi di Politica (con la P maiuscola) sia imparare ed educarsi alla Responsabilità.

La speranza è che la scuola di Politica, Giustizia e Pace di Supino diventi un luogo itinerante, una comunità educante diffusa, un tempo di formazione, di responsabilità e contaminazione politica.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…” 

“Io sono responsabile della mia rosa…” ripetè il piccolo principe per ricordarselo. (Antoine de Saint-Exupéry)

Claudio Mastrantuono

Foto di Viola Dressino