Le piazze delle Sardine, che tutti i media hanno raccontato tra novembre e dicembre 2019, sono la risultante, prima ancora della radicalizzazione della destra, di una crisi interna al campo della sinistra. Oltre al processo di deideologizzazione e di personalizzazione della politica, assistiamo da tempo a un panorama politico nel quale i contenuti e il metodo (ovvero il cosa e il come della politica) sono variabili inversamente proporzionali del benessere di ogni partito. Il trade-off tra queste risorse essenziali proietta sullo scenario politico due realtà separate della sinistra: da una parte la sinistra, dall’altra il centro-sinistra.
Il momento storico che stiamo vivendo presenta una degenerazione delle due variabili: è la perdita di equilibrio tra le due che ha scavato un solco funzionale alla crescita vertiginosa della destra sovranista.
Ai fini della comprensione dell’analisi, mi è necessario precisare che alla locuzione metodo associo quell’approccio che mira a un’apertura tipica della contaminazione politica. Questa scelta non è frutto dell’idea che non esistano altri metodi, ugualmente giusti se studiati tenendo conto dell’obiettivo che ciascun metodo si prefigge, ma mira a una semplificazione schematica che giova alla riflessione comparativa di questo elaborato. Pertanto, è evidente come il centro-sinistra abbia favorito il metodo, tradendo non pochi contenuti, e dunque valori, storici della sinistra, mentre la sinistra alternativa ed extraparlamentare abbia privilegiato i contenuti. Questa divergenza, accentuata da leggi elettorali che annientano i partiti minori alimentando il cosiddetto effetto Matteo, ha prodotto e continua a produrre effetti laceranti su più livelli.
Primo, i lavoratori non hanno un loro partito: la precarizzazione della vita e la lotta di classe non sono più politicizzate, oltre alla perdita del ruolo che il partito aveva di far maturare una coscienza di classe nella massa (oggi ancora più difficile a causa della apparente difficile somiglianza tra le varie categorie di lavoratori). Secondo: dal momento che il partito necessita sia di metodo che di contenuti, oggi né il centro sinistra né la sinistra hanno potenzialità sufficienti per avanzare politiche rispettivamente lungimiranti e influenti. Questo ha portato al vuoto politico che ora occupa la destra. Terzo: la divergenza sta portando sempre più alla convinzione che ciascuno dei due schieramenti interpreti in modo corretto il fare politica; si è abbassata cioè la predisposizione, soprattutto da parte del centro-sinistra, al confronto tra quest’ultimo e la sinistra.
Il movimento delle Sardine si inserisce in queste dinamiche come interlocutore e attore politico di mediazione.
Esso deve funzionare come denuncia al centro-sinistra per i contenuti, moderati, deludenti e poco credibili, e alla sinistra per il metodo, che per quanto possa essere considerato giusto o meno, si è dimostrato empiricamente fallimentare. L’obiettivo delle Sardine è quello di porre fine allo stagnamento del vuoto che si è venuto a creare. Il terreno non più fertile della sinistra deve avere un’opportunità per muoversi verso due direzioni: avanti, quindi rinnovarsi e saper comprendere i comportamenti sociali che nascono come reazione alle nuove sfide della contemporaneità, e indietro, per ritrovare il motore dell’azione, il sistema valoriale e ideologico che ha fatto da collante sociale per le classi oppresse del Pianeta. È ormai noto come nel mondo occidentale la stratificazione sociale e l’appartenenza politica stiano perdendo il loro rapporto storico, presentando le classi meno abbienti come gruppo sociale tendente a destra e il mondo del benessere medio-alto più legato alla sinistra democratica.
Compito delle Sardine è anche saper interpretare questa anomalia nel comportamento elettorale, frutto del mutamento della sinistra e del suo progressivo abbandono della sua funzione storica.
Le candidature di cui è stata data notizia dai media ha innescato in molti soggetti una sorta di percezione selettiva della realtà, secondo cui le sardine hanno come unico interlocutore il Partito Democratico. Ma il movimento è e deve essere altro: il punto di raccordo tra sinistra e centro-sinistra, per spezzare l’immobilismo di oggi. A fine 2019, la sinistra ha creduto, in buona parte, nel movimento; ogni sardina deve dunque porsi la domanda del perché ora gran parte della sinistra esprime forte delusioni. Sebbene le piazze del 2019 siano il frutto di contingenze politiche non più presenti -e quindi il movimento ha dovuto in qualche modo mutare il suo essere imprenditore morale- le Sardine non devono perdere la loro natura purificatrice della politica, rimanendo incastrate nelle dinamiche politiche che obbligano a manovre strategiche.
I valori delle Sardine non possono essere negoziati: il punto di forza ora sta nel portare tutto questo nelle istituzioni.
Non tradire la propria ragion d’essere può essere difficile, tuttavia il movimento non ha alternative: o si fa portatore di cambiamento radicale o la sua esistenza perde di senso. Dopo quasi due anni di vita, le Sardine hanno riscontrato non poche difficoltà, anche a causa del COVID-19, e benché siano rimasti alcuni punti fermi, il loro potere contrattuale è andato diminuendo. Esse sono un soggetto politico riconosciuto dall’opinione pubblica, seppure tutti conveniamo che – come naturale che sia – la spinta iniziale ha avuto dei rallentamenti. Dunque, la ragion d’essere del movimento va ricercata nella lotta per l’unione di un metodo aperto e di contenuti radicali, rivoluzionari rispetto al sistema ultra-capitalista che manipola e opprime le genti. L’obiettivo ora non può che essere quello, ricontestualizzato, espresso dal ritornello della canzone degli Inti Illimani Cancion del poder popular
Porque esta vez no se trata
de cambiar un presidente,
será el pueblo quien construya
un Chile bien diferente.
Giovanni Greco
Foto di Gaetano Nenna