Qual è il senso della crisi politica che ha sconvolto il nostro Paese, già provato – vale la pena ricordarlo – da un’emergenza sanitaria, sociale, lavorativa, economica?

Noi, come cittadine e cittadini italiani, come giovani, non riusciamo a comprenderlo. 

Non lo capiamo perché è espressione di un sistema che non ci rappresenta, non perché non siamo stati attenti alle puntate precedenti, perché abbiamo la memoria corta, o perché non comprendiamo le dinamiche e i tatticismo politici. In questo periodo, uno dei più bui della nostra storia, constatiamo una volta di più che la classe politica non parla la nostra lingua, non calpesta evidentemente la stessa terra su cui noi camminiamo, non abita, metaforicamente, i nostri spazi di lavoro e neppure le nostre case. 

Mentre nelle stanze ufficiali della politica i nostri rappresentanti si interrogano sull’opportunità di un “Conte ter” o di un esecutivo di unità nazionale, nelle città le italiane e gli italiani – i rappresentati, per inciso – continuano a perdere la vita e la dignità: quasi 90mila persone sono già morte a causa del virus; le imprese soffrono o soccombono; le lavoratrici e i lavoratori d’Italia cominciano a fare i conti con l’imminente sblocco dei licenziamenti; il terzo settore, che nel nostro Paese, tradizionalmente, lavora in silenzio per sostenere le persone in difficoltà, boccheggia proprio ora che le disuguaglianze e le disparità sociali si sono acuite.

A molti, fra le nostre ragazze e i nostri ragazzi, il nostro futuro, la nostra “next generation”, è precluso il sacrosanto diritto all’istruzione: un diritto sancito dalla Costituzione italiana, ricordiamo. I luoghi della formazione universitaria hanno tristemente chiuso le porte a causa dell’emergenza sanitaria e troppi studenti e troppe studentesse, iscritti a scuole di ogni ordine e grado, non dispongono degli strumenti necessari per la didattica a distanza. I loro genitori, magari, sono precari, non hanno avuto diritto alla cassa integrazione, o lavoravano in nero, prima della pandemia, in uno degli innumerevoli ristoranti che hanno ammainato, per cause di forza maggiore, la bandiera della gastronomia italiana e della ristorazione, un comparto fra i più competitivi nel nostro Paese.

Le donne, che già prima della sciagura del Covid si muovevano in bilico, come sulla lama di un coltello, cercando di conciliare la vita lavorativa con le esigenze private e famigliari, hanno incontrato un ostacolo ulteriore. “Donne e giovani”, titolano i giornali, “i più colpiti dalla crisi innescata dal Covid”. Proposte risolutive, occasioni di riscatto? Non pervenute.

Come se questo imperdonabile e drammatico immobilismo non fosse abbastanza, dobbiamo anche stare a sentire giustificazioni machiavelliche.

Perché la crisi – ci dicono –  si è aperta per noi, per il nostro vantaggio presente e futuro, per una migliore gestione e implementazione del Recovery Plan – che nel resto d’Europa è meglio noto come Next Generation EU. Come a dire – con un certo paternalismo – ragazze e ragazzi, al momento vi lasciamo soli nell’incertezza del futuro, senza prospettive neppure per il presente, però “ad maiora!”. Ma le circostanze, per noi, non faranno che peggiorare: senza un progetto che ci metta veramente al centro degli interessi della politica, il futuro non sarà migliore per forza d’inerzia. A dirlo, siamo noi, i giovani, i veri assenti in questo dibattito ingeneroso. 

Matteo Renzi, il leader di Italia Viva che si è reso protagonista indiscusso nel corso della crisi di governo, ha sfoggiato in questi giorni i frivoli muscoli politici del suo partito: non i muscoli di uno sportivo vero, diremmo, ma piuttosto i muscoli gonfiabili di un Adone in cerca di visibilità e di consenso a poche settimane dal Carnevale.

Renzi, del resto, già al momento della formazione della squadra di governo, aveva issato sul carro ben due ministre, Teresa Bellanova ed Elisa Bonetti, misurandosi in una gara di forza con Zingaretti, consapevole di avere il sostegno di una gran parte dei parlamentari dem. Il 18 settembre 2019, poi, l’ex sindaco di Firenze ha cristallizzato i suoi sogni di gloria con la fondazione di un nuovo partito, piccolo piccolo, e per tutti giustamente insignificante, ma tutto suo. Obiettivo silenziosamente dichiarato: essere l’ago della bilancia per gli equilibri di governo – forse persino indipendentemente dalla maggioranza in sella. 

E oggi che succede? Pochi giorni fa Renzi ha deciso di aprire il suo vaso di Pandora per destabilizzare prima e far cadere poi il governo in carica. La tempistica è – sinistramente – perfetta: il tutto, infatti, si è verificato nel momento più drammatico della storia recente della Repubblica italiana. 

Avrebbe agito anche prima, sia chiaro: siamo osservatori attenti e ricordiamo bene che la genesi della crisi risale a quasi un anno fa. Era gennaio, mancava poco al voto in Emilia Romagna quando Renzi – certamente non solo – contestava la posizione pentastellata sulla prescrizione. A febbraio poi il dissidio si acuiva: la riforma Bonafede slittava a causa della sopraggiunta pandemia, e così il tentativo di Renzi di aprire una crisi di governo. In politica non esiste il caso, ed eccolo qui, a parlare nuovamente di crisi a pochi giorni dalla relazione sulla giustizia. Questo governo, è bene precisarlo, contava innumerevoli detrattori. E alla fine è caduto. 

Prima Fico cerca di sondare il terreno per una nuova squadra di ministri, di verificare la solidità della maggioranza. Poi arriva Draghi, presentato dai media come il salvatore della patria. Nel frattempo, l’Italia affronta la sua crisi sanitaria, sociale, economica, e adesso anche politica.

Il “palazzo”, bisogna dirlo, ha pensato in termini individualisti, ha peccato di cecità e di egoismo.

Nessuno, fra i nostri rappresentanti, potrà sorprendersi, domani, del clima di profonda sfiducia nelle istituzioni.

Nessuno dovrà dirsi stupito dal sentimento di antipolitica che investirà il nostro Paese, la cui fiducia era già provata da decenni di delusioni: se le italiane e gli italiani chiameranno “ladroni” i membri della classe politica che dovrebbe amministrare la cosa pubblica avranno ragione, perché, di sicuro, hanno rubato il futuro delle generazioni più giovani. 

Il governo uscente è nato all’ombra del compromesso e Conte, sin da subito, è apparso come un uomo solo al comando. I ministri hanno reagito spesso troppo tardi e in modo insufficiente rispetto alle difficoltà poste dalla pandemia. Ma una crisi, oggi, è comunque incomprensibile e insopportabile, un boccone troppo duro da mandar giù per le eccezionali circostanze in cui l’Italia, l’Europa e il mondo intero si trovano.

Renzi e il Partito democratico avrebbero, semmai, dovuto lavorare insieme a un rimpasto e aprire una crisi costruttiva ben prima. Invece il governo si è sgretolato sotto i colpi d’ariete di Renzi, guarda caso, soltanto a pochi giorni dalla relazione sulla giustizia di Bonafede, la cui riforma, lo ricordiamo, risulta indigesta anche per il PD di Zingaretti.

Il Paese, però, non riesce a comprendere, oggi, né a seguire il filo di questo gioco di intrighi e ripicche, perché fuori le conseguenze socio-economiche e sanitarie della pandemia incutono giustamente troppa paura, e le forze politiche più spudorate cavalcano l’onda del populismo e della demagogia – la destra prima fra tutte – per acuire il sentimento di sfiducia.

Questa crisi ha devastato la credibilità delle istituzioni e di una classe politica che si è rivelata incapace di gestire le sfide poste dalla contemporaneità.

Manca, del resto, nel nostro paese una nuova classe dirigente che sappia fronteggiare con lungimiranza, preparazione, sensibilità e flessibilità le circostanze presenti e il futuro. La staticità e la cecità dei nostri rappresentanti politici sono persino innegabili se pensiamo all’assenza, nell’ambito della pianificazione del Recovery plan, di misure veramente finalizzate alla cura delle giovani e dei giovani d’Italia e del loro futuro. Per loro – per noi – teoricamente, dovremmo immaginare il piano di ricostruzione del Paese.

È necessario allora che proviamo a riprenderci la parola che ci è stata negata, riguadagnando tutti gli spazi che ci spettano. Abbiamo bisogno di responsabilità, abbiamo bisogno di ritrovare il lume della ragione per farci strada fra le macerie e lavorare seriamente al piano per la ricostruzione.  

Non ci interessano più le prese di posizione e le questioni di – opinabili – principi. Ci interessa, piuttosto, uscire da questa crisi a testa alta: scrivere il nostro futuro, ridisegnare un orizzonte nuovo a misura della complessa società contemporanea in cui viviamo. E farlo con la politica, oltre che con dignità. La dignità e la buona politica che il nostro popolo merita.

Anna Claudia Petrillo

Fonti