Ultimamente si sente parlare sempre più spesso del termine RESILIENZA, intesa come la capacità di resistere, superare o sopravvivere dinnanzi a un evento di forte impatto. Come era da aspettarsi e auspicare, questo termine è stato associato anche alle città, con questa specifica definizione: “la capacità di individui, comunità, istituzioni, imprese e sistemi all’interno di una città di sopravvivere, adattarsi e crescere indipendentemente dal tipo di stress cronico e shock acuto che sperimentano”.
Ma perché oggi ci dobbiamo ritrovare a parlare di resilienza urbana? Perché le città, da sempre sono il riflesso della società, dei bisogni e dei doveri dei cittadini che la abitano, e quindi anch’esse devono avere la capacità di modellarsi, adattarsi, trasformarsi continuamente e sempre più in fretta, dopo ogni dirompente accadimento. È nella città che si realizza ogni relazione lavorativa, sentimentale, economica e sociale di noi cittadini.
Ma veniamo alle dolenti note
Ancora oggi, epoca del loro maggiore sviluppo, le città occupano una piccola percentuale della superficie terrestre, eppure sono uno dei principali agenti di inquinamento. Più che città, sono HUB frenetiche dove la crescita economica è sempre la prima spinta motrice, e dove sempre più spesso non si trova spazio per le relazioni autentiche, che cercano un ambiente idoneo fuori da questi conglomerati produttivi.
Ma qualcosa lentamente matura e oggi si fanno strada idee sempre più orientate in direzione GREEN. Il tema ecologico è all’ordine del giorno di una nuova politica improntata, almeno a parole, ad un approccio più rispettoso dell’ambiente e con strategie sempre meno impattanti e inquinanti. L’espressione “sviluppo sostenibile” è entrata nel vocabolario civico, etico e politico. Il pianeta ce lo chiede, eppure le città non smettono di correre, procedendo come mosse da un apprendista stregone, verso una china nociva.
Oggi i fattori shock che mettono in crisi l’assetto urbano sviluppato nel secolo precedente si legano al cambiamento climatico sempre più pressante, ai flussi migratori, che riducono moltissimo le distanze geografiche ma non quelle sociali, a una politica aggressiva ed economico-centrica, che mette in gioco atti ed episodi violenti che aumentano la paura, e anche a una digitalizzazione sempre più estrema che crea una società virtuale più accessibile ma anche più esposta e quindi fragile.
Di tutto questo le città sono scenario e palcoscenico. Al suo interno, infatti, questi fattori risultano strettamente legati tra di loro.
Il cambiamento climatico, che è ormai impossibile negare, sta mettendo fortemente in crisi la popolazione del pianeta Terra, anche dal punto di vista della salute. Il Covid-19 ne è un esempio: nato dall’altra parte della Terra, esso è riuscito a espandersi a macchia d’olio in ogni parte del mondo con una velocità impressionante. Ma non è solo questo. Pensiamo a tutti gli eventi atmosferici che caratterizzano le nostre città: frane e alluvioni che modificano nettamente la morfologia dei territori e incidono sulla biodiversità, con la perdita di intere specie animali e vegetali e un conseguente shock globale senza precedenti. Tutto questo si ripercuote e si ripercuoterà sul benessere e sulla salute pubblica e, in particolar modo, sugli spazi sociali maggiormente aggregati, vale a dire le città.
Ogni azione fatta oggi avrà I suoi frutti dopodomani, ed è per questo che bisogna agire e farlo in fretta
I movimenti che hanno organizzato le grandi mobilitazioni nei paesi nordici in questi anni hanno trovato meno seguito in Italia, e questo è un grossissimo problema perché, finché l’opinione pubblica non sarà in allarme, la politica non ne ascolterà l’SOS. Anche se qualche speranza si intravede con il nuovo governo Draghi, il quale , recependo anche le fievoli spinte green del Conte bis, si è definito un governo ambientalista, intenzionato a mettere al centro le politiche ambientali. Soprattutto in previsione dei fondi della Next generation UE che, per volere della commissione europea, dovranno essere investiti al 37% verso gli obiettivi del Green Deal Europeo.
Questo patto verde prevede che il continente europeo possa diventare , entro il 2050, il primo climaticamente neutrale, che avrà cioè ridotto a tal punto le emissioni di gas serra da poterle compensare con le energie rinnovabili, che vengono assorbite da oceani, foreste e suolo. È un progetto estremamente ambizioso, che vede il rinnovo e il ripensamento di moltissimi ambiti della società e dell’economia europea.
A ricoprire il ruolo di Ministro per la Transizione ecologica, con un curriculum d’eccellenza, vediamo lo scienziato Roberto Cingolani. Il Dott. Cingolani identifica sei priorità fondamentali per avviare una transizione del sistema produttivo verso un modello piu’ sostenibile, ovvero meno dannoso per l’ambiente. Queste sono:
- L’intelligenza globale ci salverà.
“Il ritmo del progresso, insomma, continuerà a crescere. La vera domanda è se sapremo stare al passo con questi sviluppi: diventa sempre più difficile, per la società, metabolizzare gli shock di un futuro che incalza, mentre la stabilità del nostro ecosistema è compromessa dalle risorse sempre più ingenti richieste dallo sviluppo.”
- Valutare in anticipo gli effetti collaterali dell’innovazione.
“Quello di cui abbiamo bisogno oggi è un risk assessment ragionato del progresso, a livello politico e aziendale, che tenga conto dei problemi di lungo periodo generati dallo sviluppo, e sappia valutare attentamente il rapporto tra costi e opportunità di ogni tecnologia.”
- Energia: Urgente la transizione verso le rinnovabili.
“Viviamo tutti sotto uno stesso cielo: il riscaldamento climatico è causa di siccità, con un impatto enorme sulla fauna e l’agricoltura; lo scioglimento dei ghiacciai diminuisce le risorse di acqua dolce mentre l’innalzamento del livello dei mari porta all’erosione delle coste.”
- Un nuovo modello per le città.
“L’urbanizzazione sregolata non è solo un volano negativo del cambiamento climatico, ma anche un elemento chiave della crescita delle disuguaglianze.”
- Effetto serra: applicare subito gli accordi di Parigi.
“Per mitigare i danni del riscaldamento globale, è necessario che Sapiens proceda con decisione sulla strada della decarbonizzazione, riducendo drasticamente l’emissione di gas serra nell’atmosfera.”
- L’insostenibile pesantezza dell’aria.
“Rivedere il nostro modello di consumi energetici è quindi imperativo non solamente per contenere l’aumento delle temperature e il cambiamento climatico, ma anche per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo, allungando la nostra longevità e la sostenibilità del nostro ecosistema.”
Questi sei punti non sono solo incontestabili ma anche indispensabili per una vera transizione. Ma le domande rimangono. Sarà abbastanza? Arriveremo in tempo?
Sicuramente il passo italiano fino ad oggi è stato troppo lento, ma va detto che in questa gara non vince chi farà di più e prima, perchè i veri risultati si vedranno su scala globale, non territoriale, e se vogliamo essere precisi nemmeno su scala europea.
Vero è anche che questa nuova attenzione al clima, soprattutto da parte dell’Italia, potrebbe mettere in moto proprio il principio di resilienza delle città, che, davanti ad uno shock, si ritrasformano con estrema rapidità, e si riassestano su un concetto nuovo urbano. Pensiamo banalmente alla imminente necessità su scala minore di dotare gli ambienti cittadini di piste ciclabili, di aree verdi, di orti urbani, di spazi per la collettività, di trasporti pubblici adeguati, di sicurezza sociale, di nuove occupazioni e di riduzione degli sprechi. Sembra un processo semplice, ma che in realtà stravolge l’assetto urbanistico di una città, facendo sì che i non luoghi diventino a pieno titolo luoghi.
Farlo non è per niente semplice, ed è proprio per questo che avrebbe dovuto partire prima, perchè, anche se le città hanno una grandissima capacità di trasformazione, i risultati non saranno imminenti, ed ogni giorno perso è un giorno in meno che abbiamo per tamponare una situazione ormai oltre il confine del semplice allarme. Questo perché le città sono vissute dalle persone, e mentre il contesto facilmente e strutturalmente muta, il comportamento umano necessita di maggior tempo per riprogrammarsi anche sentimentalmente e per adattarsi a livello psicologico, etico ed economico, a un nuovo ambiente o stile di vita. Le città saranno resilienti se i suoi cittadini saranno in grado di evolvere, guardando al futuro accettando e pianificando nuove sfide che si basino su valori introiettati e condivisi nel senso dell’inclusività, dell’integrazione, della protezione verso vulnerabilità e diversità, e della consapevolezza dei possibili rischi. Si tratta innanzitutto di un percorso culturale e formativo. Perché diciamoci la verità, la politica e le istituzioni dovrebbero seguire i bisogni del cittadino, ma è anche vero il contrario. Noi siamo realmente pronti a questa transizione ecologica?
L’investimento economico deve essere svolto puntando al benessere del cittadino
Esso deve puntare alla costruzione di capitale umano e di reciprocità, con l’obiettivo aumentare la qualità della vita singola e comune, ma anche la consapevolezza, soprattutto per le generazioni future che pagheranno per ogni azione fatta o non fatta oggi.
Dobbiamo pretendere città resilienti, agglomerati urbani più a misura d’uomo, più aperti all’individuo e alla società, intesa come un gruppo di cittadini attivi che vive la città in tutte le sue forme e con tempi e bisogni diversi.
Il divario sociale è sempre più accentuato e il vuoto tra poveri e ricchi è esattamente lo specchio delle nostre città, dei nostri quartieri, del nostro degrado urbano e dei nostri ghetti, che non danno spazio e tempo a chi rimane indietro. Fermiamoci, facciamolo ora, e guardiamoci. Guardiamo con quale noncuranza passiamo davanti all’altro senza realmente vederlo, di come leggiamo senza attenzione, di come crediamo nel cambiamento a parole senza realmente prenderne parte.
Facciamolo finché il terreno è fertile e le città possono essere ancora resilienti, perché prima o poi anche loro si spaccheranno senza potersi aggiustare più.
Viola Dressino