Era gennaio, il governo presentava la prima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che “in linea con il Piano Sud 2030, contribuirà a valorizzare il contributo del Mezzogiorno alla ripartenza del Paese, liberandone il potenziale di crescita inespresso e agendo in un’ottica di sinergia e complementarietà con le risorse europee e nazionali della politica di coesione 2021-2027”.

Da allora sono passati tre mesi e una crisi di governo che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi; un governo ora supportato da una nuova maggioranza che ricorda vagamente la maschera di Arlecchino. Variopinto è forse anche il termine adatto per apostrofare il linguaggio di Salvini che con una scarpa è dentro gli accordi di Palazzo e con l’altra ordina ai suoi la ritirata, preoccupato dall’escalation di consensi della rivale-amica Giorgia Meloni. 

Manca però ormai pochissimo alla data del 30 aprile, termine ultimo fissato per consegnare il nostro Recovery Plan all’Europa e il 23 aprile è stata presentata quella che sembra essere la versione definitiva che il Governo presenterà entro fine mese a Bruxelles. 

Una prima considerazione che credo sia importante fare riguarda il ruolo dei territori, palesemente marginalizzati a favore di scelte centralizzate, motivate dai tempi stringenti. 

Riguardo la precedente versione, ricordiamo i mugugni dell’Europa che chiedeva maggior coraggio al nostro governo, chiedendo di rafforzare il piano di riforme collegate agli oltre 222 miliardi di euro che dovranno essere investiti individuando le principali azioni da porre in atto. La nuova versione sembra accontentare un po’ tutti, con solo qualche voce critica interna al M5S. È bene ricordare però anche un’altra cosa. Le tre priorità trasversali della bozza presentata dal governo Conte riguardavano: parità di genere, giovani e Sud, con un investimento per il riequilibro territoriale di quest’ultimo che arrivava al 67% del totale delle risorse disponibili dal fondo per la coesione territoriale. Oltre il 25% delle risorse stanziate dall’Unione Europea (47,5 miliardi) per il fondo REACT-EU – l’iniziativa di assistenza specifica per supportare la ripresa per la coesione dei territori d’Europa – saranno infatti destinate all’Italia, per sottolineare la volontà dell’Unione Europea di porre fine, una volta per tutte, all’annosa questione meridionale.

Specifico tutto questo perché ciò che traspare dalla versione definitiva del PNRR non è tuttavia incoraggiante per il Mezzogiorno. 

Il 40% della quota di investimenti destinata al Sud non è una vittoria, come vuol far credere la ministra per il Sud Mara Carfagna, ma una deludente sconfitta che relega, ancora una volta, il Mezzogiorno a subire criteri di investimento basati sul numero totale della popolazione, invece che sul gap infrastrutturale presente, rendendo impossibile colmare il divario esistente con le regioni del centro nord. Rivendicare una cifra superiore al 60% rispetterebbe i criteri scelti dalla Commissione Europea che ha destinato il 28% delle risorse complessive del piano Next Generation all’Italia proprio per diminuire il tasso di disoccupazione medio (17%) e il basso reddito pro capite che caratterizza le aree del Centro Sud e delle isole. 

Uno degli obiettivi principali dell’Europa è dotare le aree più depresse del continente delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo. I criteri pensati dall’UE per la ripartizione dei fondi del Next Generation, però, non sono stati applicati per stabilire quante risorse andranno alle diverse zone del Paese, il che ha portato a un ammanco per il Mezzogiorno stimato in circa 60 miliardi di euro. Non c’è bisogno di un’analisi approfondita per ricordare di come al Sud manchino le infrastrutture minime che colleghino le aree interne ai capoluoghi di città, di come manchi una rete di medicina territoriale capillare e di quanto siano profonde le disparità sociali con il resto della nazione. Se oggi l’Italia può avere a disposizione una quota più consistente di risorse è per via di tutti questi elementi, in particolare del divario infrastrutturale e occupazionale con il nord che coinvolge soprattutto giovani e donne.

Questi fondi servono per colmare queste carenze. 

L’Europa si è dimostrata spesso critica ed inflessibile sui propri finanziamenti e il rischio è di veder perse queste risorse se non verranno rispettati determinati impegni. Queste osservazioni sono state rilanciate dall’Osservatorio sul Piano di Rilancio e Mezzogiorno e dalla rete dei sindaci del Sud che il 25 aprile hanno protestato a Napoli dopo aver inviato una lettera non solo alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen ma anche al Commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale, Paolo Gentiloni. Non si può quindi non essere delusi da un Piano che ha escluso la concertazione come metodo di scelta per le azioni da mettere in atto e che ha posto in secondo piano il ruolo del Sud come motore per la ripresa dell’Italia. La protesta plateale del sindaco di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, rivendica proprio questo ruolo: dormire nel Municipio per esprimere un garbato dissenso nei confronti di chi sta perpetrando un nuovo scippo nei confronti delle risorse da destinare al Sud senza dare nessuna motivazione plausibile. 

Voglio poi citare l’esperienza della assemblee regionali di Emilia Romagna e Calabria, legate al progetto di Rinascimento Green, che hanno dimostrato come sia tanta la voglia da parte della cittadinanza attiva di dare idee e spunti riguardo le aree prioritarie su cui andrebbero investiti gran parte dei fondi. Dal rinnovo delle reti idriche a una corretta transizione ecologica che passa inevitabilmente per un nuovo senso di mobilità, che impone di abbattere le emissioni di C02 per rispettare l’obiettivo del 2050 come data “carbon free”.

Come Sardine d’Irpinia abbiamo dato il nostro piccolo contributo per la nascita del documento “Irpinia Next Generation”.

Grazie al grande lavoro delle associazioni Avellino Prende Parte e ControVento, principali autrici delle proposte, ci siamo immaginati le principali aree di intervento, credendo fortemente in un piano di investimenti che dovrebbe ridare speranza a chi ha scelto di lasciare le aree interne del Meridione immaginando un’Irpinia del futuro in cui l’agenda politica principale sia destinata a ridurre i gap riguardo la sanità, la digitalizzazione, passando per le questioni dell’inclusione e della parità di genere alla salvaguardia dell’ambiente. Il documento completo è consultabile qui: https://www.avellino.app/irpinianextgeneration/ 

 

La pandemia sta segnando uno spartiacque tra un prima e un dopo. Non è espressione enfatica affermare che niente sarà come in precedenza, ci ritroviamo davanti un’occasione storica e forse irripetibile. Ogni processo che voglia tendere al cambiamento delle condizioni di vita del Mezzogiorno non può non basarsi sul valore della trasparenza democratica dei procedimenti che nasca dall’ascolto delle esigenze e dalla più ampia partecipazione democratica. Il PNRR non ha purtroppo visto nulla di tutto ciò ed è nostro dovere controllare e mobilitarci per far sì che questa non sia un’ulteriore occasione sprecata. Potrebbe essere l’ultima. Quello che come società civile e come sardine dovremmo chiedere è una grande discussione pubblica, momenti di partecipazione reali in cui istituzioni, cittadini e corpi intermedi possano davvero co-progettare insieme il futuro e prendersene cura. Bisogna progettare il futuro, bisogna farlo adesso.

La Next Generation non è poi così lontana.

Claudio Petrozzelli

Fonti