La situazione attuale della scuola italiana merita grande attenzione e non vi è dubbio che l’emergenza, ormai in corso da mesi, determinata dalla pandemia da Covid 19 ha portato allo scoperto tutti i problemi già in essere e a questi ne ha aggiunti altri, non meno gravi.

Alcune testate giornalistiche e televisive hanno chiaramente deciso di dedicare spazio e ascolto alle voci che provengono dal mondo della scuola.

Ma è evidente che la sola presenza sui media, per quanto apprezzabile in termini di visibilità data alla tematica, non è di per sé un elemento che possa risolvere le questioni aperte ma, al massimo, potrà servire a segnalare l’urgenza e la necessità di affrontarle.

Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, sulla quale si appunta maggiormente l’attenzione degli osservatori, chi vi ha svolto per anni la propria attività professionale non può che rimarcarne un aspetto fondamentale, ovvero la complessità data dai fattori che andremo ora a esaminare. Fermo restando che se la scuola, come da più parti si ricorda, va intesa come una comunità educante, è evidente che perché essa continui a vivere anche in tempi di pandemia devono comunque esserle garantiti quegli elementi che la rendono un imprescindibile presidio di civiltà, come la corretta relazione umana, il dialogo didattico, i percorsi di studio e di ricerca, il processo di crescita condiviso tra le sue componenti giorno dopo giorno.

Non si intende qui muovere polemica nei confronti della didattica a distanza o della didattica integrata, che sicuramente, avvalendosi delle moderne tecnologie (peraltro già molto utilizzate dai giovani ) hanno consentito di portare avanti per mesi le lezioni impegnando a fondo i docenti nella formazione e nella predisposizione di materiali appositi e gli studenti nella nuova modalità di partecipare alla vita scolastica. Ma, come è stato detto, questa doveva essere una soluzione temporanea in attesa della messa a punto di soluzioni idonee a favorire una normale ripresa dell’attività didattica. E qui si viene al punto che interessa affrontare: che cosa osta alla riapertura delle scuole superiori?

Il primo punto riguarda la necessità che il rientro avvenga in condizioni di assoluta sicurezza, così da non causare il proliferare di nuovi contagi e l’impennata dei casi.

Non dimentichiamo, peraltro, che le classi sono frequentate da studenti che possono essere affetti da patologie serie (si pensi ad esempio, tra gli altri,  ai casi di diabete, di epilessia, di asma), e da problematiche che determinano anche situazioni di disabilità, peraltro in costante e preoccupante aumento negli ultimi anni.

Perché in tempo di pandemia la scuola continui a mantenere la sua dimensione inclusiva è fondamentale che vengano intraprese tutte quelle azioni e adottate tutte quelle misure che servano a contrastare nella maniera più drastica il contagio. Occorre però riflettere su un elemento di criticità, ovvero l’indeterminatezza dei dati scientifici relativi ai contagi tra gli studenti e gli operatori scolastici. Ci hanno sempre insegnato che per poter programmare efficacemente servono dei dati, e chi ha esperienza di scuola sa che la richiesta di monitoraggi da parte degli organi preposti (Ministero, Enti locali, Uffici territoriali, Invalsi) ha sempre rappresentato una costante, spesso anche francamente assillante, della attività delle segreterie e dei dirigenti.

I monitoraggi presuppongono poi una elaborazione ed una restituzione dei dati. Sul rischio di contagio tra studenti e operatori scolastici sono state date informazioni spesso contrastanti, e questo ha reso ancora più incomprensibile ad alcuni le decisioni assunte. Chi ha il polso della situazione, il Ministero dell’Istruzione o quello della Salute? E l’Istituto Superiore di Sanità? Anche dai suoi componenti sono emerse dichiarazioni a favore della riapertura, eppure ciò non è accaduto. Si potrebbe quindi pensare che in realtà vi siano anche altre ragioni, che andremo di seguito a illustrare.

La difficoltà di riorganizzare la riapertura ha messo allo scoperto il dato della complessità della scuola secondaria di secondo grado.

Essa si articola infatti in tre diversi percorsi: liceale, tecnico e professionale. Ciascuno di essi ha una serie di specifiche caratteristiche determinate dai diversi curricula, ciascuno dei quali si distingue per un diverso profilo formativo in uscita e di conseguenza per un diverso carico orario distribuito su discipline che richiedono spazi e strumenti specifici. Altro è una lezione di una materia teorica svolta in un liceo, che può ad esempio presupporre l’analisi di un testo letterario, altro è un’esercitazione di laboratorio in un indirizzo di istituto tecnico o professionale.

La relazione tra docente e discente e la dimensione esperienziale che alcune discipline prevedono per loro stessa natura sono fondamentali. Il numero di materie e quindi di ore di lezione cambia, così come cambiano gli strumenti dei quali il docente si serve e che non sono certo riconducibili al denominatore comune di un pc.

La partita della riapertura della scuola superiore non può essere quindi sbrigativamente liquidata, come a un certo punto si è fatto, pensando di risolvere il problema facendo iniziare tutti alle 9 o pensando ai doppi turni, o ancora peggio proponendo di fare lezione il sabato quando già la stragrande maggioranza funziona regolarmente anche in quella giornata. È scorretto trattare come un tutto unico una scuola che ha al suo interno dei percorsi necessariamente diversi. Chi lo fa dimostra di non conoscere la scuola, di affrontarla in modo pressapochistico ignorandone la reale struttura.

Ogni scuola superiore è un’importante realtà, talvolta unica, del territorio sul quale insiste e con quel territorio deve fare i conti in termini di trasporti,  di servizi ( si pensi solo a tutto l’insieme delle figure professionali che ruotano intorno agli studenti con disabilità), di istituzioni culturali locali con le quali dialogare, di aziende che con le loro specificità produttive spesso hanno una storica relazione con gli indirizzi delle scuole tecnico professionali collocate nella stessa area.

Partiamo dai trasporti, unanimemente indicati come uno dei nodi cruciali per la riapertura delle scuole. Sarebbe stato necessario coinvolgere direttamente le scuole, anche attraverso le loro associazioni, in una riflessione sul tema non di tipo ideologico, bensì operativo e concreto. Tavoli di lavoro ai quali ogni istituto fosse chiamato a portare dati precisi sulla propria popolazione scolastica, sul numero di studenti pendolari, sulla distanza tra casa e scuola e così via.

Non può sfuggire che vi sono enormi differenze tra un territorio e l’altro e di conseguenza tra l’utenza di diverse scuole. Sulla base di questi dati verificare la possibilità di creare una rete di trasporti e di servizi. Tutto il periodo estivo, in cui la pandemia aveva dato tregua, poteva essere utilmente sfruttato a questo scopo.

Il nodo dell’affollamento sui mezzi pubblici, che per molti studenti ma anche per parte del personale docente e non docente sono indispensabili per raggiungere il posto di lavoro o di studio, pare che non sia stato affrontato per tempo e le conseguenze sono quelle che viviamo ancora oggi. Occorre che sia istituito un servizio adeguato non solo in termini di mezzi e di corse, ma anche di risorse umane: prevedere figure di addetti non tanto al controllo quanto ad un ordinato utilizzo dei mezzi.

La terza ragione, sulla quale occorre fare un più approfondito ragionamento, è di tipo politico. Essa riguarda la necessità di effettuare delle scelte in termini di risorse e di programmazione che imprimano una svolta rispetto alle condizioni nelle quali la scuola è stata relegata per troppi anni. 

Più volte gli studenti hanno lamentato di non essere stati coinvolti e di avere avuto meno attenzione delle categorie che, come gli esercenti pur duramente colpiti dalla crisi, hanno almeno goduto di parziali periodi di riapertura.

E’ invece molto importante che il mondo degli adulti non continui a deludere le giovani generazioni e cominci ad affrontare seriamente le questioni nodali della scuola, che continuano a risentire di una gestione politica all’insegna del risparmio sul Welfare. Questa scelta nefasta, iniziata dal tandem Gelmini Tremonti – che fu capace di abbinare una riforma della scuola secondaria (il cosiddetto Riordino dei Cicli del 2010 ) a un taglio lineare del personale –  ha prodotto conseguenze rovinose. Si passa qui a esaminare una serie di punti chiave e sui quali dovrà basarsi la ripartenza della scuola.

La priorità assoluta è di certo quella delledilizia scolastica.

Nel nostro Paese, come la pandemia ha fatto emergere, sono troppe le aule scolastiche di piccole dimensioni, sono troppi gli edifici che richiedono interventi strutturali, sono troppi i problemi legati all’utilizzo di spazi che non erano nati per ospitare aule scolastiche. A ciò si associa la questione della sicurezza, che è fondamentale garantire ma per la quale da moltissimi anni non vengono più erogati finanziamenti dedicati ponendo costantemente le istituzioni scolastiche nelle condizioni di dover anno per anno calibrare le proprie risorse sui costi richiesti dai vari adempimenti per la sicurezza. E’ possibile, ad esempio, che le scuole pubbliche debbano sostenere con le loro forze la formazione delle squadre antincendio erogata dai Vigili del Fuoco, che sono un corpo afferente al Dipartimento del Soccorso Pubblico e quindi, come la scuola, un servizio che lo Stato presta ai cittadini (tanto per fare un esempio, fra i tanti che si potrebbero citare)?

Perché non pensare almeno a convenzioni formalizzate per alleggerire questi impegni economici e garantire la indispensabile formazione al personale scolastico? Alle scuole devono essere erogate le risorse che consentano di soddisfare tutti gli adempimenti necessari in materia di Sicurezza, per non mettere i dirigenti scolastici nelle condizioni di dover continuamente operare scelte su queste spese e di poter fornire il migliore servizio anche in questi termini.

Si deve quindi pretendere che i prossimi investimenti riguardino sia il settore delledilizia scolastica, che dovrà prevedere lavori di edilizia pesante che comportino opere di costruzione di nuovi istituti sia il settore della sicurezza, con l’assegnazione di risorse dedicate e certe, garantite con cadenza annuale, sulle quali si possa contare per una efficace programmazione degli interventi di formazione, che sono obbligatori, e per i compensi da erogare alle figure previste per legge, ovvero RSPP e Medico competente. A dodici anni dall’entrata in vigore del D.Lgs 81/08 sono ancora troppi i problemi aperti .

Una seconda questione riguarda lautonomia scolastica.

L’autonomia scolastica, di fatto, può esplicarsi solo se anche le risorse in termini di organico sia del personale docente sia del personale ATA sono adeguate a soddisfare quanto previsto dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa.

Al momento dell’entrata in vigore della L.107/15 le scuole secondarie di secondo grado hanno accolto con favore l’assegnazione di risorse aggiuntive di personale docente, anche se non sempre questa è avvenuta rispettando le priorità indicate dalle scuole in termini di aree disciplinari.

Purtroppo negli ultimi anni spesso alcune risorse precedentemente assegnate non sono più state erogate, e anche se ciò è avvenuto da parte degli uffici territoriali con attenzione a non creare soprannumerari è evidente che una programmazione di istituto che ad esempio avesse previsto per il triennio di poter contare su due risorse aggiuntive di una determinata classe di concorso per portare avanti attività progettuali, o di sostegno allo studio, o di lavoro con gruppi classe più piccoli si è trovata impossibilitata a dare seguito a quanto programmato.

Alla luce di quanto indicato, si ritiene utile segnalare che una dotazione di organico dellautonomia costante e certa per un numero di anni che coincida effettivamente con quelli del PTOF triennale, che sia aggiornata in base alle esigenze della scuola e rinnovata ogni triennio  per poter efficacemente perseguire gli obiettivi del Piano di Miglioramento deve rappresentare un’altra priorità, insieme ad una dotazione di organico dell’autonomia anche del personale ATA, che sostituisca la richiesta di dotazioni aggiuntive che attualmente si gioca in termini di Organico di Fatto e che è sempre stata destinata a subire dei tagli rispetto a quanto sarebbe stato utile avere.

All’autonomia scolastica devono essere date non solo fiducia, ma anche gambe per poter camminare e cioè risorse umane e risorse economiche adeguate.

Un terzo punto riguarda la necessità che i Ministeri dell’Istruzione e dell’Università si raccordino tra di loro e mettano a punto protocolli per una continuità tra la scuola superiore e la scelta della facoltà universitaria e che si raccordino anche con gli altri Ministeri per individuare di quali professioni, di quali profili, di quali operatori avrà bisogno il Paese nei prossimi decenni. Esiste già molto a livello europeo in termini non solo di raccomandazioni ma anche di declinazione dei diversi livelli di formazione e di preparazione.

Eperò necessaria una programmazione efficace.

Non serve ripetere che c’è bisogno di laureati in materie scientifiche e poi continuare a selezionare i numerosissimi studenti che ogni anno si iscrivono ai licei scientifici nelle due diverse opzioni o ai tecnici industriali creando le condizioni per demotivare coloro che all’inizio del percorso incontrano qualche naturale difficoltà, e creando la falsa credenza che quello degli studenti bravi in queste discipline sia un mondo accessibile a pochi eletti e precluso a chi possiede normali capacità. Non possiamo più permetterci di perdere per la strada studenti che, se hanno scelto studi scientifici, evidentemente almeno un interesse per le discipline del caso avranno dovuto avere.

Non tutti diventeranno docenti universitari, o scienziati di fama mondiale, ma quanti di loro potrebbero utilmente proseguire i loro studi, laurearsi, e lavorare come biologi, farmacisti, insegnanti, ricercatori e così via?  E invece troppo spesso si sono verificati abbandoni del percorso scelto e di conseguenza riorientamenti verso scelte che frequentemente hanno portato ad abbandonare gli studi o a ripiegare su altri indirizzi, accompagnati da senso di frustrazione e da disagio.

Per non parlare dell’accesso alla facoltà di Medicina. E’ stato davvero programmato quel numero che ha escluso così tanti dall’accesso al loro sogno di diventare medici? A giudicare dalla carenza di medici che la pandemia ha messo allo scoperto si direbbe proprio di no. E la stessa amara valutazione si potrebbe fare per altri profili professionali dei quali ora si sente la drammatica carenza.

Ecco, chi ne ha il ruolo e le possibilità deve lavorare perché in questo Paese si sviluppi un diverso orizzonte, che sia quello della visione di lungo periodo e non più quella del mese prossimo o della prossima scadenza.

Solo così potremo dare un contributo utile al Futuro dei nostri ragazzi.

Maria Cristina Casali, ex docente e Dirigente scolastica

Lettera inviata a redazione@6000sardine.it – se vuoi mandarci il tuo contributo sulla scuola, contattaci a questo indirizzo email.