Mi chiamo Giulia. Ho diciotto anni e sono una studentessa. 

Sono una studentessa e credo nella Scuola. Fermamente e convintamente. Credo nella Scuola come luogo di conoscenza, di formazione dei cittadini del domani, come momento di crescita personale, intellettuale e civile. Credo in una Scuola che sia punto d’incontro, di confronto, di dibattito. E credo in una Scuola che sia aperta a tutti (art. 34 Cost).

E’ evidente che stiamo vivendo un momento estremamente delicato: la pandemia da Covid-19 ha completamente stravolto i nostri equilibri, le nostre vite e abitudini. 

Noi giovani abbiamo fatto la nostra parte per contenere i rischi. Abbiamo fatto, stiamo facendo e faremo. Senza lamentarci, senza discutere, senza scendere nelle piazze a protestare, senza sindacati che tutelassero i nostri diritti, senza che nessuno ci chiedesse cosa ne pensiamo. 

Da mesi abbiamo rinunciato ad andare nelle discoteche, alle feste, alle cene con gli amici, spesso all’attività sportiva. Lo abbiamo fatto con grande senso di responsabilità, con dispiacere, certo, con rammarico, ma nello stesso tempo con la consapevolezza di fare qualcosa per la comunità, nella convinzione che i nostri gesti e i nostri sacrifici servissero soprattutto a proteggere gli altri, gli anziani, i nostri nonni e familiari, le persone più fragili. Lo abbiamo fatto, credo, con una profonda maturità, che spesso ad altri è mancata. Non abbiamo messo il nostro egoismo davanti alle esigenze della collettività, alla tutela della salute.

Abbiamo fatto tutto per il bene della comunità, con l’aspettativa e la speranza che allo stesso modo la comunità si sarebbe presa cura di noi, che avrebbe investito su di noi. 

Eppure mi trovo a constatare che non è così, perché le scuole superiori sono chiuse più o meno ininterrottamente dal 23 Febbraio, eccetto una piccola parentesi di didattica mista integrata in autunno, e a quanto pare sono in pochi a considerarlo un problema. 

La didattica a distanza, adottata da licei e istituti da subito, si è rivelata una risorsa inaspettatamente piuttosto efficiente, e senz’altro una valida soluzione immediata e temporanea. 

Doveva servire a guadagnare tempo per riorganizzare le lezioni in presenza. 

Invece, da quasi un anno la DAD è consuetudine. E lo è nonostante l’evidenza della sua totale inadeguatezza a colmare i vuoti creati dalla mancanza di dibattito, di confronto, d’incontro. Lo è sebbene non permetta di stare insieme, di coltivare le relazioni tra compagne e compagni, come con professori e professoresse – senza  elencare poi i danni psicologici e sociali derivanti da  questa situazione, e i problemi, comuni a molti, relativi alla connessione Internet.

In Italia le scuole sono state tra le prime a chiudere. A marzo come a ottobre.

Durante la c.d. seconda ondata mentre l’Italia era divisa in fasce di rischio e, dove possibile, erano aperti negozi, bar, ristoranti le scuole erano chiuse. Mentre a dicembre si ipotizzava di riaprire impianti sciistici, palestre e piscine, le scuole non riaprivano. Mentre si ragiona di permettere agli italiani di tornare in vacanza, a godersi la tanto fruttuosa Settimana Bianca, le scuole rimangono chiuse. In ogni caso. In ogni zona. 

Tante delle proposte per far riprendere le lezioni in sicurezza -dai turni pomeridiani all’allestimento di ambienti extrascolastici in cui tenere le lezioni in grado di garantire il distanziamento- vengono ripetutamente bocciate, o comunque non messe in pratica. 

A dicembre la mia regione (Toscana) era in zona gialla. I negozi erano aperti; tutti potevano riversarsi nelle strade per comprare i regali di Natale, pranzare al ristorante con gli amici, o trovarsi per un aperitivo. 

Le scuole superiori, invece, continuavano ad essere off limits. 

Erano permesse, dunque, tutte le attività che ci vedono come consumatori. Nient’altro. 

Non siamo presi in considerazione come persone, e nemmeno come giovani sulla cui formazione investire. Così la scuola, considerata un costo per lo Stato e una struttura incapace di contribuire allo sforzo produttivo, è sembrata sacrificabile.

Certo, questo non vale per le scuole di grado inferiore, indispensabili al Paese in quanto luogo dove lasciare i bambini mentre i genitori lavorano. In questa situazione drammatica e di emergenza, l’impressione che scaturisce è lo svilimento della scuola, ridotto a un’istituzione di babysitteraggio. 

Io non riesco ad accettare che ci si trovi a sacrificare anche l’istruzione.  

Sono disposta a rinunciare agli svaghi, ad ascoltare le raccomandazioni ministeriali, a indossare la mascherina per giornate intere, se necessario, a mantenere il distanziamento e ad adattarmi a tutti i provvedimenti che occorrono per rientrare in sicurezza. Ma la Scuola è una priorità. 

Ho 18 anni. Sono giovane, ma sono il futuro: noi ragazzi e noi ragazze siamo il futuro di questo Paese, siamo il futuro della comunità. Di una comunità che deve investire su di noi, rappresentiamo la prospettiva di un’Italia che non si può permettere di avere cittadini non formati, non preparati, che si ritroveranno presto a fare i conti con gli enormi danni economici e sociali e con  le conseguenze della crisi ambientale. Non ci possiamo permettere di non investire sul nostro Paese, non ci possiamo permettere di sacrificare la cultura e la formazione.

L’Italia ha bisogno di noi. Voi tutti avete bisogno di noi. 

E noi per poter essere gli elettori e le elettrici, i lavoratori e le lavoratrici di domani abbiamo bisogno di tornare a scuola.

Giulia Taddei

Lettera inviata a redazione@6000sardine.it – se vuoi mandarci il tuo contributo sulla scuola, contattaci a questo indirizzo email.