Questi ultimi 14 mesi di pandemia hanno senza dubbio scoperchiato innumerevoli vasi di Pandora, catalizzando e mettendo prepotentemente in evidenza molte problematiche sociali. La distanza tra chi sta bene e chi si trova in una condizione di fragilità è esponenzialmente aumentata, mentre continua il martirio del nostro Pianeta soffocato dalla crisi climatica, a cui assistiamo spesso da spettatori inermi.

Tra le diverse verità rivelate ai nostri occhi, non c’è soltanto una smisurata crescita delle disuguaglianze. Abbiamo tutti avuto modo di prendere coscienza della seguente realtà: noi esseri umani abbiamo un disperato bisogno di relazione. Il distanziamento fisico a cui la pandemia ci ha costretto è presto mutato in distanziamento sociale, un forte schiaffo in faccia che ci ha risvegliato però dall’illusione che per entrare in relazione con gli altri basti un pc, una videochiamata o restare connessi virtualmente h 24. Le Sardine nascono nel mondo fisico ed è lì che si propongono di svolgere la loro azione principale, nell’incontro e attraverso il dialogo. Credevamo fosse importante prima della pandemia, ora ne siamo ancor più convinte e convinti.

Gli Orti popolari sono nati dalla profonda e radicata necessità di rapporto con altri esseri umani.

Il progetto, avviato nel luglio 2020 e ideato da 6000 Sardine e Cucine Popolari-Bologna Social Food in collaborazione con il Centro Agroalimentare di Bologna e la Fondazione Grameen Italia, si occupa di riqualificare alcuni degli orti presso il Podere San Ludovico, un’area verde nella prima periferia bolognese presso il quartiere Pilastro. Si contano ormai 41 orti gestiti con passione da oltre 70 volontari che, seguendo i principi della condivisione e della solidarietà, donano metà del loro raccolto alle Cucine Popolari.

Chi si reca oggi agli orti troverà un tripudio esplosivo di verde primaverile sormontato da torrette fiorite, insalate, cardi, sedani, finocchi ed erba cipollina che fanno capolino dalla terra protetta da un boschetto di trifoglio bianco. Ma gli orti non sono sempre stati così: quando siamo arrivati la prima volta ci siamo subito resi conto di avere un grande lavoro da fare. Sotto il sole di luglio, armati di falciatrice abbiamo ripulito il terreno, lo abbiamo fresato, zappato e finalmente messo a dimora con grande soddisfazione le prime piantine.

Siamo partiti da zero, ci siamo documentati, abbiamo organizzato e partecipato a lezioni introduttive, cercato l’intervento di esperti per poter tracciare un solco da seguire, arricchito l’esperienza favorendo lo scambio reciproco di conoscenze. Ci siamo quindi mossi con l’idea di fare cittadinanza attiva, di agire al fine di essere attori della sfera pubblica e di tutelare un prezioso bene comune: il territorio.

Nella mia personale e anagraficamente breve esperienza, sono state davvero rarissime le possibilità di poter fare cittadinanza attiva.

Scarsi gli stimoli ricevuti al liceo, periodo durante il quale forse qualcuno mi avrebbe dovuto dare più strumenti per poter vivere da cittadina consapevole e partecipe all’interno della società; ancora troppo fumosi quelli dell’università. Per me, come per migliaia di altri ragazze e ragazzi, la transizione dalla fase adolescenziale all’età adulta, in cui si è chiamati a votare per le prime volte e a farsi una visione matura del mondo, è avvenuta senza punti di riferimento, lasciati tra i flutti di un limbo che la pandemia ha agitato ancor di più. Gli Orti Popolari sono quindi per me sicuramente un’occasione di crescita personale, che affonda le sue radici nelle relazioni interpersonali e nella ricerca di conoscenze.

Questo progetto ha dato la possibilità a tutti coloro che ne fanno parte, in un momento così delicato impregnato di paura ed instabilità, di riscoprire la gioia dei momenti di condivisione ed il benessere generato da piccoli gesti di infinita semplicità, come respirare l’aria carica dei profumi della terra, godere della vista di un paesaggio naturale ed il gusto di sporcarsi le mani mentre si mette a dimora una piccola piantina. Gli Orti Popolari creano occasioni di incontro e di apprendimento, accendono la curiosità per ciò che ci sta intorno attraverso un atto estremamente semplice, come stare nell’orto, ma che racchiude tanta umanità. Un’umanità la cui bellezza forse dovremmo re-imparare a conoscere.

L’essere umano impara a comportarsi, e a vivere con gli altri, restando materialmente in mezzo ad altri esseri umani. Gli Orti ci hanno permesso di farlo in sicurezza rimanendo fisicamente distanti e all’aria aperta, ma davvero in relazione con chi ci è vicino.

Sempre facendo riferimento al manifesto delle Sardine: “Le Sardine credono che consapevolezza, riconoscimento delle emozioni, educazione ai sentimenti e responsabilità individuale siano premesse fondamentali per qualunque processo di crescita personale e sociale”. Una crescita che si basa sullo sviluppo e allenamento della propria intelligenza emotiva e di quella sociale: dall’empatia alla crescita individuale, dalla responsabilità alla crescita collettiva.

Lavorare la terra ci ha insegnato ad usare cura, rispetto, impegno e costanza sia nel vivere la natura che abbiamo attorno, sia nelle nostre relazioni. Con la prospettiva di un futuro imminente nel quale la tutela e valorizzazione di un territorio è possibile solo attraverso il coinvolgimento di chi abita quello spazio, un progetto come Orti Popolari acquisisce un ruolo significativo nel benessere di una comunità.

Irene Aldovini

Questo articolo è stato pubblicato sulla testata online “Leggi la notizia”.