La legalizzazione delle droghe leggere è una tematica piuttosto controversa nel panorama socio-politico italiano attuale. Ma io oggi vorrei provare a considerarla da un punto di vista scientifico e non ideologico, come invece è quasi tutto il dibattito odierno sul tema. Per questo ho incontrato e intervistato su Zoom, causa Covid-19, il prof. Marco Sabatino Rossi, ricercatore in Economia politica, Economia pubblica ed Economia pubblica e politiche pubbliche presso il dipartimento di Politiche Economiche e Management della Sapienza di Roma, che di un’eventuale legalizzazione della cannabis ha studiato per molti anni gli aspetti economici e sociali. Il prof. Rossi è anche membro dell’associazione no-profit Canapa Caffè e dirige il Laboratorio Analisi economica e sociale del mercato della cannabis, sempre all’interno della prima università romana.

Questa è la prima parte dell’intervista, la seconda è disponibile a questo link

Buongiorno prof. Rossi, e grazie della sua disponibilità a nome di tutte le 6000 Sardine. La recente legalizzazione della cannabis light nel 2016 come si può quantificare in termini di apertura di aziende e negozi che producono e vendono questa sostanza? E quali sono stati i conseguenti introiti dello stato sotto forma di tasse versate da queste nuove aziende?

Parliamo dei grow shops, quindi. Lì una vera e propria associazione di categoria non si è mai formata. Ne parlavo proprio ieri con l’ideatore di Canapa Mundi ed Emporium Gennaro Maulucci. Esiste una certa commistione fra grow shops e semplici shops, quindi il settore non è ben definito. Comunque, limitandoci ai soli grow shops, c’è stato un enorme incremento delle aziende coinvolte. Quando ho cominciato ad occuparmi di questo ambito, una decina di anni fa, erano solo un centinaio. Attualmente sono circa ottocento. Considerando che l’economia italiana in quest’ultimo decennio è stata sempre in stagnazione, questo è uno dei pochi settori ad aver avuto successo in questo periodo. Ripeto, è molto articolato al suo interno, perché comprende i grow shops, che sono prevalentemente dedicati alla coltivazione domestica, ma anche gli smart shops, che in alcune fasi storiche hanno venduto le cosiddette smart drugs, oppure accessori utili per il consumo di cannabis. È un settore, come dicevo, molto variegato al suo interno e proprio per questo non è riuscito ancora a mettere insieme un’associazione di categoria. Comunque per quanto riguarda il numero di persone impiegate in queste 800 aziende, è quantificabile in 4-5mila. Inoltre il settore non ha risentito granché della crisi del Covid-19. Ha ridotto un po’ i volumi di produzione e di conseguenza in parte il personale. Gli introiti fiscali provenienti da queste attività non sono facilmente stimabili. Forse la manifestazione più importante che hanno prodotto queste aziende è proprio Canapa Mundi, che ha avuto oltre 30mila visitatori e ha ottenuto dalla Regione Lazio il riconoscimento di fiera internazionale, poiché aveva una larga rappresentanza di aziende estere al suo interno.

E quale sarebbe invece una stima del numero di aziende e delle persone in esse impiegate nel caso di una vera e propria legalizzazione delle droghe leggere?

Questo è uno studio che ho fatto e pubblicato su una rivista economica. Per quanto riguarda la semplice coltivazione e manifattura del prodotto, il cosiddetto trimming (perché è proprio la manifattura che impiegherebbe il maggior numero di persone in caso di legalizzazione della cannabis), in Italia si dovrebbero assumere circa 60mila addetti, di cui quelli preposti alla coltivazione sarebbero però lavoratori stagionali.

Poi c’è la distribuzione, e qui si apre un bivio su che tipo di fornitura si vuole fare. A suo tempo nel mio studio feci i due casi polari estremi: il caso più modesto come impatto economico, è quello in cui essa sia affidata alle tabaccherie come Monopolio di Stato. L’impatto occupazionale in questo caso sarebbe minimo, come si è visto in parte anche con la cannabis light, poiché sarebbero gli attuali tabaccai a vendere anche la sostanza psicotropa. Dal lato opposto, c’è un altro scenario, a dire il vero un po’ fantascientifico, vista la situazione politico-sociale italiana, cioè è lo scenario olandese degli anni ’80 e ’90, ovvero la distribuzione della cannabis tramite coffee shops. Questo secondo scenario avrebbe invece un impatto molto significativo in termini di occupazione nel nostro Paese. Considerando il consumo di canapa in Italia in rapporto a quello olandese, a suo tempo stimai un numero di circa 300mila addetti solo per la distribuzione. Anche perché i coffee shops produrrebbero pure il fenomeno del cosiddetto “turismo dello spinello”, come si è già visto in Olanda e adesso negli Stati Uniti, in tutti quegli stati che hanno legalizzato la cannabis. Le dico il dato preciso [legge dal suo studio]: nel 2007-2008 avevamo un numero di coffee shops previsto da un’eventuale legalizzazione della cannabis ricreativa in Italia di oltre 60mila, con un numero totale di addetti pari a 280mila. E questo è un dato non indifferente, come vede ben superiore ai 5-6mila addetti attuali dei grow shops.

Il problema è che questo sistema dei coffee shops è un sistema fortemente orientato al profitto, molto aggressivo dal punto di vista commerciale: utilizza canali pubblicitari e tutto ciò può urtare la sensibilità popolare. Anche se in Olanda la legislazione in materia di cannabis è molto complessa, anche perché è a livello municipale, negli ultimi anni c’è stata in generale la tendenza a chiudere i coffee shop agli stranieri e a ridurne il numero totale. Quindi per concludere la risposta alla sua domanda, la legalizzazione porterebbe la creazione di minimo 60mila nuovi agricoltori, fino ad un massimo di 300mila addetti alla distribuzione nel nostro paese. In questa variazione, però, a mio avviso la seconda ipotesi, di una legalizzazione attraverso i coffee shops, non è attualmente compatibile con le condizioni socio-politiche italiane.

Per quanto riguarda invece la coltivazione di canapa, è corretto dire che potrebbe rappresentare un’opportunità di sviluppo economico, specialmente per il Sud Italia?

Qui bisogna fare un cenno storico. l’Italia ha sempre primeggiato a livello mondiale nella produzione di canapa. Non a caso le Repubbliche Marinare sono nate da noi, in quanto le vele e il cordame in origine erano fatti di canapa. Da Marsiglia al Sud Italia, essa veniva coltivata ovunque anche all’inizio del Novecento. E il clima italiano si presta benissimo alla coltivazione di canapa. Questa pianta è come il pomodoro, che fa parte della famiglia delle Solanaceae, molto simili alle Cannabinaceae. Come cresce bene il pomodoro in Italia, così cresce benissimo la canapa. Infatti un altro posto dove questa pianta si sviluppa benissimo è la California. La canapa vuole soprattutto il sole. E non troppo caldo perché ad esempio il clima verso l’Equatore non le piace. Quindi tecnicamente, qui da noi sarebbe possibile produrla in grande quantità. Esisteva anche un know-how, una vera e propria cultura della canapa in Italia. C’è anche un museo ad essa dedicato a Pisoniano (RM). E legalizzarla potrebbe dare lavoro a molti giovani nella sua coltivazione, soprattutto al Sud. Certo i margini di guadagno nell’agricoltura sono sempre molto ridotti. Questo purtroppo è il problema generale del settore. L’agricoltore guadagna poco, è chi poi distribuisce il prodotto che ha invece un buon mercato. Rispetto a quello che mi chiedeva prima sugli introiti fiscali derivanti da un’eventuale legalizzazione della canapa, le posso dire che tassando solo la coltivazione si ottiene poco, è tassando la distribuzione che avremo il vero guadagno per lo Stato.

E tassando la distribuzione, quindi, quali potrebbero essere quindi gli introiti fiscali?

In un mio articolo ipotizzavo per la canapa la stessa tassazione dei tabacchi lavorati. Che sarebbe in linea con la sua distribuzione nelle tabaccherie. Il Monopolio sui tabacchi prevede un’aliquota del 75,5%, più altre accise minori. I tre quarti del prezzo delle sigarette sono tasse. La cosiddetta “tassa sul vizio”, “sin tax” in letteratura. È la stessa tassa che c’è sugli alcolici ad esempio. Alla base c’è l’idea di molti economisti, che tassare qualcosa sia meglio che proibirlo. Aumentando il prezzo di un bene con le tasse, si ottiene di ridurre il consumo come con la proibizione, ma in più si guadagna un gettito erariale. Nel caso di una legalizzazione della cannabis tramite tabaccherie, avremo delle imposte sul reddito per circa 500 milioni di euro in un biennio, quindi circa 250 milioni all’anno, e 3-4 miliardi di imposte sulle vendite. Invece nello scenario futuribile dei coffee shops, avremmo circa 5 miliardi di imposte sulle vendite, ma soprattutto le imposte sul reddito salirebbero a ben 1 miliardo e mezzo. Tutto ciò, come le dicevo, avverrebbe tassando la distribuzione. Nel nostro Paese lo scenario più probabile nel caso di una legalizzazione delle droghe leggere, rimane comunque il primo, secondo me.

Intervista a cura di Laura Gobbo.

Si ringrazia Tiziano Rea per il prezioso aiuto.

Fonti