La legalizzazione delle droghe leggere è una tematica piuttosto controversa nel panorama socio-politico italiano attuale. Ma io oggi vorrei provare a considerarla da un punto di vista scientifico e non ideologico, come invece è quasi tutto il dibattito odierno sul tema. Per questo ho incontrato e intervistato su Zoom, causa Covid-19, il prof. Marco Sabatino Rossi, ricercatore in Economia politica, Economia pubblica ed Economia pubblica e politiche pubbliche presso il dipartimento di Politiche Economiche e Management della Sapienza di Roma, che di un’eventuale legalizzazione della cannabis ha studiato per molti anni gli aspetti economici e sociali. Il prof. Rossi è anche membro dell’associazione no-profit Canapa Caffè e dirige il Laboratorio Analisi economica e sociale del mercato della cannabis, sempre all’interno della prima università romana.

Questa è la seconda parte dell’intervista, puoi leggere la prima a questo link

Parliamo invece di canapa medica. É vero che la sua produzione in Italia è largamente insufficiente per il fabbisogno giornaliero dei pazienti?

Non è un mio campo di studi specifico, ma posso riferirle quello che hanno detto in numerosi incontri organizzati da Canapa Caffè. Con il mio laboratorio in Sapienza, volevamo anche organizzare una visita al Chimico-Farmaceutico Militare di Firenze, dove la producono, ma purtroppo causa Covid, abbiamo dovuto rimandare.
Comunque confermo che la quantità di canapa medica distribuita dal Servizio Sanitario Nazionale è attualmente, sia quantitativamente che qualitativamente, insufficiente per i malati che ne necessitano. Io mi occupo di più della canapa psicotropa come economista, perché essa ha un peso economico superiore a quello della canapa medica, anche in termini di coinvolgimento delle organizzazioni criminali. La cosa curiosa, dal mio punto di vista, è che l’insufficiente offerta ha creato un mercato clandestino anche della canapa terapeutica. Di fatto produrre la cannabis psicotropa o quella terapeutica, tecnicamente è la stessa cosa. E poiché la domanda esiste e i prezzi richiesti dalle farmacie per questi medicinali sono molto elevati, anche i pazienti spesso si rivolgono al mercato clandestino.

Ma quindi gli spacciatori offrono dei prezzi più convenienti di quelli del mercato legale?

No, ma ottengono profitti molto più elevati. Se coltivarla mi costa 3 euro al grammo, io la vendo a 20 come una farmacia e il ricavato è molto alto. Poi c’è anche un altro aspetto, la regolarità della distribuzione. Il malato o il cannabis-dipendente non possono restare senza fornitura, ma necessitano un flusso continuo di sostanza. E visto che il mercato legale non prevede questa fornitura continua, ecco che sopperisce il mercato nero.

Quali e quanti altri tipi di aziende si potrebbero sviluppare in Italia a seguito di una legalizzazione della canapa, oltre a quelle che la produrrebbero per uso ricreativo? Penso ad esempio ai settori tessile e alimentare.

Diciamo la verità, la canapa industriale, la cosiddetta Carmagnola, la varietà italiana, da noi si è sempre prodotta e coltivata. Quindi in ambito tessile, in ambito alimentare e in ambito terapeutico, la canapa ha sempre trovato i suoi utilizzi. Una volta ad esempio le mutande erano fatte di canapa. Adesso sono passate di moda, ma non perché abbiano vietato di farle di canapa, ma semplicemente perché pizzicavano. Le mutande di cotone pizzicano meno. In campo alimentare con la canapa industriale ci si fa la birra, ad esempio. In Lucania sono molto attivi in questo campo. La canapa Carmagnola è priva di Thc. Se fai una torta con quella non ti succede niente, se la fai con la canapa psicotropa molto probabilmente avrai un forte effetto psico-fisico. Fare quest’ultima è vietato, ma non l’altra. Quindi la canapa industriale è già legale in Italia, anche se nella sua regolamentazione c’è un po’ di confusione. Esemplare è il caso della cannabis light, che deriva da un’interpretazione distorta delle regole utilizzate per la canapa industriale. Se vuole le racconto la storia: un sottosegretario del governo precedente a quello di Conte [quello di Gentiloni N.d.R.], ha scritto un regolamento contenente la quantità massima di Thc che poteva essere presente nella canapa ad uso industriale.

Tale regolamento è stato interpretato nel senso che tutta la canapa contenente una quantità inferiore di Thc a quella presente nel testo potesse essere prodotta, distribuita e commercializzata. Nasceva così la cannabis light, che non è che un’altra forma di canapa industriale, in buona sostanza. La Lega di Salvini ha poi fatto una forte rimostranza politica sul tema, ma ormai il settore si era già formato ed è rimasto attivo. C’è stato diciamo uno stop & go, ma la cannabis legale viene tutt’ora venduta nel nostro paese. E tutto questo non per una precisa volontà politica, ma per un’interpretazione distorta della legge. Questo è perlomeno quello che ha detto il tribunale, poi la causa è andata in Cassazione, ma per ora il settore è sempre fiorente.

E la Cassazione che ha detto sul tema?

In pratica ha dato ragione a Salvini, ha detto che anche la cannabis light è illegale. Ma come le dicevo ormai il settore era avviato, e infatti se lei va da un qualsiasi tabaccaio, tutt’ora trova in vendita la sostanza.

Invece su ciò che ha scritto Roberto Saviano sulla legalizzazione come grimaldello per togliere fondi alle mafie e darli allo stato, lei che ne pensa? Concorda con lo scrittore?

Parliamo qui del mercato della cannabis illegale. Qui troviamo una forte presenza della criminalità organizzata, soprattutto nell’ambito dell’importazione e vendita all’ingrosso della sostanza, come dimostrano gli studi della Direzione Generale Antidroga. L’importazione è principalmente di erba dall’Albania e di hahish dal Marocco. Nell’ambito della vendita al dettaglio, che è dove si realizzano i maggiori profitti, la presenza delle mafie è concentrata solo in alcune aree geografiche, soprattutto nel Mezzogiorno, zone in cui il controllo della criminalità organizzata su ogni attività illegale è pervasivo. Nella gran parte del territorio del nostro Paese, invece, la distribuzione al dettaglio non coinvolge la criminalità organizzata, ma è svolta da piccolo imprenditori, se così si può dire, ovvero da piccoli spacciatori. Magari si riforniscono dalle mafie per la vendita all’ingrosso, ma poi coloro che portano l’hashish e la marjuana nelle piazze e nelle strade, come le dicevo, sono solo piccoli imprenditori.

Quindi, se dovessimo stimare gli introiti derivanti per la criminalità organizzata dal commercio al dettaglio di cannabis, troveremo che essi non sono poi così rilevanti. Qui devo dare ragione al Procuratore Nicola Gratteri, la mafia guadagna molto di più sulla cocaina. L’eroina invece crea un grosso disagio sociale, ma non è molto redditizia. Gli eroinomani sono sempre pochi, mentre i cocainomani sono molti di più. Comunque per concludere la risposta, il ricavato delle mafie per l’importazione della cannabis è stimato fra i 500 milioni e i 1 miliardo di euro. Lì sta il loro vero guadagno. Su una cosa però mi sento di dare ragione a Saviano: il fatto che questi ricavi siano concentrati in alcune aree geografiche del nostro paese, significa che in quelle aree il potere economico della criminalità cresce esponenzialmente rispetto al resto del tessuto sociale.

E poi se tutti questi piccoli imprenditori, come li chiama lei, potessero rifornirsi di cannabis dallo Stato anziché dalle mafie, intanto li avremmo sganciati da un circuito illegale, per inserirli in uno virtuoso, non crede?

L’idea di fondo della legalizzazione è proprio questa: sostituire i profitti della criminalità con il gettito erariale. Il proibizionismo e i movimenti proibizionisti hanno sempre avuto come conseguenza la crescita di un lucroso mercato nero della sostanza proibita. Il caso più lampante è stato quello degli alcolici negli USA, vietati dal 1920 al 1933. Dal momento in cui una proibizione non viene percepita come legittima da una parte significativa della popolazione, ecco che essa viene violata. Se tu proibisci gli alcolici in un paese islamico, dove tale proibizione è conforme ai dettami religiosi, la cosa viene percepita dalla popolazione come legittima, ed essa obbedisce alla proibizione. Ma se invece vieti gli alcolici in un paese come gli Stati Uniti, dove bere ha sempre fatto parte della cultura nazionale, tale proibizione viene percepita dalla popolazione come illegittima. E questo vale anche per l’Italia e la canapa.

Da quando si è diffuso il consumo di cannabis a livello mondiale negli anni ’70, l’Italia è sempre stato uno dei paesi con più consumatori di questa sostanza, insieme alla Spagna e a tutta l’Area Mediterranea. Paradossalmente in Italia il consumo di cannabis è attualmente il doppio di quello dell’Olanda, dove essa è legale. Quindi proibendo la cannabis in un Paese come il nostro, dove se ne fa un largo uso, si sono create le condizioni per un lucrativo mercato illegale. La stessa proibizione in Norvegia o in Svezia non ha creato lo stesso problema, perché i consumatori in questi due Paesi sono molto pochi, e quindi il mercato nero lì non si è sviluppato più di tanto. 

E di quanto è stimato il numero di consumatori di cannabis italiani?

Qui si entra in un discorso un po’ complesso. Nella fascia di età 15-54 anni, quindi dagli adolescenti agli adulti, il consumo annuale in Italia tocca il 10% della popolazione. Stiamo attenti però, in questa percentuale è compreso anche il numero di coloro che solo a Capodanno si sono fatti un tiro di spinello. Quindi dal mio punto di vista di economista, quello che mi interessa non è tanto questa massa di 5 milioni circa di persone che almeno una volta l’anno hanno consumato la canapa illegale, ma quei circa 500mila che la usano ogni giorno, i cosiddetti consumatori abituali, ai quali è imputabile all’incirca il 90% di tutta la cannabis consumata in Italia. Tutto questo ha anche un aspetto politico, perché quelli colpiti dalla proibizione della canapa nel nostro paese non sono quel 10% della popolazione, ma solo l’1% che la utilizzano quotidianamente. I numeri contano. E poi io sono un allievo di Modigliani, ci metterei pure un fattore demografico. Non dimentichiamoci che il nostro è un paese di anziani, molti dei quali non hanno mai consumato cannabis per motivi generazionali. Per questo la statistica che ho citato va dai 15 ai 54 anni, per le età più avanzate non avrebbe nemmeno senso farne una. Anche se è interessante vedere come in Italia sia progressivamente invecchiato il numero dei consumatori. Oltre il 30% di quelli attualmente segnalati sono ormai ultra-trentenni. E questo determina anche una modifica del mercato. In Italia, accanto al mercato illegale degli spacciatori, esiste anche un mercato sociale della canapa, che copre circa il 40% dei consumi. Il mercato sociale sono gli scambi di hashish e marjuana fra amici consumatori. C’è chi se ne compra un po’ di più e poi la distribuisce agli altri, c’è chi la coltiva per sé e poi le eccedenze le dà agli amici… Tutte queste persone sono al di fuori del contesto della criminalità organizzata, e non sentono di fare una cosa illegale vendendo la cannabis. Se gli chiedi: “perché l’hai data al tuo amico?”, questi ti risponderanno semplicemente: “perché era sprovvisto, io ne avevo un po’ di più, e quindi glie l’ho fornita”. Io le chiamo le Società di Mutuo Soccorso.

Io sono un economista ma adesso insegno a Sociologia, e la questione della cannabis ha sì un importante risvolto economico, come dicevamo all’inizio, ma fondamentalmente è una questione etica e sociale. Infatti il suo consumo in Italia in effetti è ancora legato ad una contro-cultura di minoranza, che viene percepita dalla maggioranza come irrispettosa dei valori della nostra società. La proibizione e il proibizionismo sono tematiche che hanno forti connotati filosofici, spesso anche religiosi. Per citare Freud, in Totem e tabù, come si forma la mentalità collettiva? Con questi due elementi, appunto il totem e il tabù. Il tabù non importa che sia un albero, un animale o la cannabis. “Chi siamo noi? Siamo quelli che rispettano questo tabù.” E per inverso capita anche che tramite il consumo si crei una mentalità collettiva soprattutto fra i giovani. “Noi invece siamo quelli che tutti i giorni si vedono al muretto e si fanno gli spinelli insieme”. Capita molto in ambito adolescenziale. Succede anche che i ragazzi inizino a fumare cannabis perché vogliono entrare a far parte del gruppo di coloro che già lo fanno. Si tratta di una complicità in un atto che si configura come contro-culturale, e dunque diviene una sorta di cameratismo fra i partecipanti.

E lei mi conferma che sia una leggenda metropolitana che i consumatori di cannabis passino spesso a droghe più pesanti come la cocaina o l’eroina?

Allora, si stai parlando di quello che in letteratura si chiama “effetto ingresso”. Considerando l’aspetto simbolico, tale effetto esiste. Come diceva Friedrich Nietzsche in Al di là del bene e del male: “quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”. Nel senso che anche solo fumando uno spinello, tu hai rotto il tabù. E questo è vero. D’altra parte però si è registrato, proprio col confronto con il caso olandese, come sia la stessa proibizione a creare un effetto ingresso, in quanto delega la vendita a degli spacciatori illegali, che di solito possono offrire ai clienti anche altre sostanze. In Olanda questa idea venne fuori negli anni ’70, e si mise in piedi l’attuale rete di coffee shops, proprio allo scopo di separare i due mercati, quello delle droghe leggere e quello di quelle pesanti. Anche i maggiori critici del modello olandese hanno dovuto convenire che questa operazione di separazione dei due mercati, nei Paesi Bassi è riuscita. Ad Amsterdam tu vai nei coffee shops, dove consumi solo la cannabis. Poi magari vai anche dallo spacciatore per altre sostanze, ma fatto sta che i due momenti sono comunque nettamente divisi.

Per concludere, la legalizzazione in Olanda è servita a ridurre l’effetto ingresso nel mondo delle droghe pesanti, grazie alla separazione del loro mercato da quello delle droghe leggere. C’è uno studio interessante del Cato Institute, un ente americano composto in gran parte da conservatori, che ha dimostrato che il consumo di alcolici e di altre sostanze, non solo non è aumentato negli Stati americani che hanno legalizzato la cannabis, ma anzi è sostanzialmente diminuito. Anche la Rand Corporation, un altro ente conservatore statunitense, ha pubblicato qualche anno fa numerosi studi interessanti su questo tema. Paradossalmente la tematica della legalizzazione della cannabis è trattata spesso in maniera più scientifica e meno ideologica dagli studiosi di destra, che da quelli progressisti. Perché quello delle droghe leggere è un mercato con molte potenzialità, attualmente purtroppo completamente regalato alla criminalità organizzata. 

Intervista a cura di Laura Gobbo.

Si ringrazia Tiziano Rea per il prezioso aiuto.

Fonti