Intervistiamo il presidente di Canapa Caffè, un’associazione di Roma che promuove l’uso di cannabis legale e terapeutica e la legalizzazione di quella ludica, Carlo Monaco. Da anni Carlo combatte con una legge ormai desueta che vieta alle persone di coltivare la marijuana ai fini terapeutici, come il più famoso caso di Walter Di Benedetto, balzato recentemente alle cronache per essere stato prima accusato di questo reato e infine assolto. Di seguito la seconda parte dell’intervista (la prima a questo link).

Perché sono così poche le farmacie che erogano con continuità la cannabis terapeutica?

Perché alla Farmacia non conviene l’acquisto con così poche prescrizioni da parte dei medici, solo pochi farmacisti preparati hanno capito come muoversi senza rimetterci. Era il 2007 quando un primo decreto dell’allora ministro della Salute, Livia Turco, legittimava l’uso terapeutico della cannabis per la terapia del dolore. Tra le prime  regioni a legiferare in materia, vi furono la Toscana e la Puglia. Nel 2014 la regione Puglia aveva stimato un alto fabbisogno interno di cannabis terapeutica. Grazie al grande lavoro mediatico di attivisti come Andrea Trisciuoglio con la nascente associazione La Piantiamo, venne votato all’unanimità un decreto di legge che avrebbe autorizzato la produzione di farmaci cannabinoidi. Purtroppo l’allora ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, riuscì a bloccare sul nascere l’applicazione di tale decreto regionale, inibendo per sempre la speranza di una reale produzione di cannabis terapeutica italiana. Infatti, se da una parte il decreto ministeriale 9/11 del 2015 ammetteva:

  • l’esistenza di documentazione scientifica sufficiente perché l’utilizzo della cannabis terapeutica potesse essere considerato benefico e di supporto in alcune patologie come la sclerosi multipla e le lesioni del midollo spinale resistenti alle terapie convenzionali;
  • l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno), in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace;
  • l’effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali;
  • l’effetto stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard;
  • l’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali;
  • la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard); 

dall’ altra parte il Dm 9/11/2015 bloccava ogni possibile tentativo di produzione nazionale o regionale di cannabis terapeutica. Si bloccava così la legge pugliese, affidando l’esclusività della produzione a un esperimento pilota nello stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze (struttura storicamente già impegnata in passato nel caso di carenza di farmaci). Con il decreto Lorenzin si raccomandava alle Regioni di regolamentare le erogazioni di cannabis medicinale per tali patologie, lasciandole libere di legiferare in materia.  Alcune regioni, come Emilia Romagna, Toscana e Puglia hanno da subito garantito ai propri pazienti un percorso terapeutico con la cannabis medicinale. In altre regioni, invece, la mancanza di decreti attuativi ha ostacolato l’applicazione della legge regionale. 

Parliamo dell’esperimento pilota. Nel 2015 veniva stanziato un milione di euro per produrre 400 kg all’anno di cannabis terapeutica. Un quantitativo mai effettivamente prodotto.

Alla fine del 2017 grazie alla bocciatura per pochissimi voti della proposta di legge “quattro piante a paziente” (presentata dal Senatore Ciampolillo, accompagnato da diverse associazioni tra cui Canapa Caffè,) si aggiunse alla legge finanziaria, che prevedeva l’ulteriore stanziamento di €2.3 milioni di euro come rafforzamento per la produzione di Firenze, e stabiliva di garantire uno fondo alle regioni che avrebbero dovuto acquistare cannabis ed erogarla gratuitamente. Alla fine del 2020 quello che è stato prodotto a Firenze si quantifica in poco più di 150 kg. Considerando i milioni di euro stanziati il costo di produzione è fuori da ogni business plan. Nonostante questo nella finanziaria 2021 la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla manovra, a prima firma Riccardo Magi (+Europa), che stanzia tre milioni e seicentomila euro per la produzione e settecentomila euro per l’importazione della cannabis utilizzata a fini terapeutici. Nel luglio 2020, al nostro ultimo incontro al Ministero della Salute, ci è stata promessa una collaborazione con le associazioni per la produzione. Stiamo ancora aspettando.

Dopo la dichiarazione contro i negozi di cannabis legale da parte di Matteo Salvini nel 2019, che contraccolpi ci sono stati per queste attività?

L’uscita di Salvini è avvenuta nonostante la cannabis light rappresenti il core business del settore canapa italiana. Nel 2019, quando Salvini iniziò la guerra ai grow shop, richiesi l’autorizzazione per una manifestazione davanti al Ministero dello Sviluppo Economico. Si quantificavano allora almeno 3000 aziende nel settore, con un totale di circa 15.000 lavoratori e un giro d’affari da circa 300 milioni di euro. Tutto questo era a rischio per la mancanza di chiarezza dei legislatori. Iniziarono i controlli delle forze dell’ordine negli shop e i sequestri senza regole. E soprattutto in alcune regioni o territori controllati dalla criminalità organizzata, a gestori degli shop e imprenditori veniva sequestrata qualsiasi tipo di merce legale, dalla pasta per la cosmesi, addirittura ai grinder e alle lampade. Chi non aveva voglia di combattere, né un secondo magazzino o i soldi per ricomprare l’attrezzatura non ha più riaperto. Anche molti agricoltori che pensavano fosse facile coltivare la canapa, non riuscendo a creare i prodotti richiesti dal mercato in seguito a vari problemi legali, rinunciarono. Nonostante alcuni politici, in primis Matteo Mantero e Michele Sodano del Movimento 5 Stelle e Riccardo Magi abbiano provato più volte a far approvare alcune modifiche alla Legge 242/16, che avrebbero consentito agli imprenditori di lavorare con maggiore serenità, nonostante la pandemia e il lockdown, che nel marzo 2020 hanno fatto slittare le vendite di cannabis light alle stelle, nel 2021 sono alcune centinaia le aziende o realtà associative come la nostra che “hanno retto al massacro” e che continuano a lavorare nell’incertezza di una ampia area grigia. La maggior parte di esse al momento sopravvive, ma c’è anche chi ha anche realizzato una crescita. Queste aziende sono da applaudire, perché hanno continuato a investire nonostante un rischio d’impresa enorme. Spesso partendo da strutture agricole minime in questi anni sono riuscite a ingrandirsi, a fatturare positivamente e a creare posti di lavoro. 

Ora, per concludere il nostro incontro, ci racconti la storia della sua associazione Canapa Caffè e dei numerosi problemi legali derivati dalla vostra attività.

L’associazione Canapa Caffè è nata nel 2016 in seguito a diversi anni di mia militanza nell’antiproibizionismo italiano. Personalmente ho cominciato a seguire l’attivismo internazionale da quando ho avuto accesso a Internet. Da sempre ho sostenuto l’autoproduzione, una volta scoperta la qualità, non volevo più avere contatti col mercato nero. Nel 2008 iniziavano a farsi sentire gli effetti della Legge Fini-Giovanardi e una tragica mattina di maggio cambiò la mia vita. 

Un mio conoscente aveva raccontato delle mie piante di canapa durante un fermo di polizia. Nonostante fossi incensurato, a due esami dalla laurea, e fosse evidente che non la vendessi, e nonostante provai a dimostrare un uso medico (ancora non ben conosciuto all’epoca), presi una condanna a 5 mesi e 10 giorni con la condizionale per “coltivazione”. Se la cannabis che mi trovarono l’avessi comprata, se non l’avessi coltivata io e non avessi insistito per dichiarare la mia autoproduzione, sarei uscito assolto. Ero ancora piccolo ma questo cambiò qualcosa dentro di me. In seguito mi laureai e andai in Spagna e mi iscrissi ad Arseca, una delle prime associazioni sul tema. Nel 2011 fui seguito da alcuni medici, ottenni la mia prima relazione tecnica in cui per le mie patologie veniva consigliato l’uso di cannabis da un medico spagnolo. Nel frattempo presi contatto con la nascente associazione Ascia e partecipai nel 2012 alla riunione a Bologna. Tornai definitivamente in Italia e cominciai ad essere così parte attiva della anti-proibizionismo italiano anche con Freeweed.

Nel 2015 nasceva l’associazione CIP (Canapa Info Point), di cui divenni segretario nazionale. Ottennni anche le prime prescrizioni mediche in Italia. Si aprirono diverse sedi CIP su territorio italiano, e cominciarono gli eventi con la canapa: sagre, fiere, pranzi e cene, banchetti informativi ovunque possibile, e perfino presenze in Parlamento, che portarono parallelamente all’apertura del Canapa Caffè e alla legge 242 del 2016.

Poco prima però, una volta annunciata l’apertura del Canapa Caffè, il 20 Giugno 2016 l’associazione CIP insieme ad Ascia era convocata in commissione Sanità e Giustizia. All’uscita io e l’altro socio fondatore di Canapa Caffè, Luigi Mantuano, venivamo fermati e trattenuti a lungo dalla polizia. Mi ritrovai senza patente e con infondatissime accuse in base all’Articolo 73 del Dpr 309/90. Di fatto mi restituirono 95 grammi di Bedrocan sigillato e imbarattolato ritirato all’Asl, gli 800 euro che avevo, perchè avevamo visto che avevamo appena aperto una srl, ma mi accusarono per 70 grammi di cannabis non della farmacia più una busta di scarti.

L’Associazione Canapa Caffè ha aperto ad ottobre 2016, nonostante tutte queste intimidazioni, organizzando sin da subito eventi d’informazione e di prescrizione medica, facendo venire a Roma medici preparati e affittando studi medici per effettuare le prescrizioni. Questo per creare qui a Roma un gruppo di pazienti, nonché una richiesta di cannabis terapeutica. Anche se da allora sto ancora lottando per riavere la patente, e nel frattempo sono andati sprecati tanta energia e denaro per affrontare udienze al giudice di pace, al TAR, al Consiglio di Stato, la cosa positiva è che finalmente qualcosa nel Lazio è cambiato. Nel 2017 abbiamo ottenuto una legge regionale per la cannabis terapeutica e grazie alle nostre pressioni, tale legge è stata aggiornata nel 2018 con tutte le patologie previste nel decreto Lorenzin. In questi anni, controlli, multe sui prodotti, sequestri di cannabis e problematiche varie hanno accompagnato la nostra attività di informazione. Anche l’associazione ha cambiato più volte direttivo. solo io sono sempre rimasto. Più volte sono stato ospite ai tavoli del Ministero della Salute e del Ministero dell’Agricoltura. A distanza di 4 anni e 8 mesi dai fatti, un mese fa abbiamo avuto la prima udienza preliminare per le accuse di spaccio. Il giudice ci ha rinviato a giudizio. Nell’ottobre del 2021 al processo coinvolgeremo tanti medici, farmacisti ed esperti per far capire come una legge fatta male continui a portare pazienti davanti al giudice. Due volte abbiamo presentato la proposta di legge 4 piante a paziente, nel 2017 e in settembre 2020, sempre con il senatore Ciampolillo. Più volte abbiamo portato idee per la produzione nazionale di cannabis terapeutica, in ultimo un incontro l’8 luglio 2020 al Ministero della Salute. Naturalmente Ci auguriamo che al più presto tutta la cannabis sia libera e regolamentata, uso medico e ludico, e che finiscano queste persecuzioni. Nel frattempo, continuiamo a pensare che almeno chi ha una prescrizione medica e problematiche di salute dovrebbe essere lasciato in pace.

Intervista a cura di Laura Gobbo

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