Sono ormai passati quattro anni dagli eventi sismici che colpirono i territori di quattro regioni italiane: Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio. Le prime scosse, registrate il 24 agosto del 2016, hanno segnato l’inizio di una fase drammatica vissuta da tutto il Centro Italia, che purtroppo non può ancora dirsi conclusa. La ricostruzione post-sisma ha incontrato numerosi ostacoli e si è intrecciata con un altro problema di grande attualità: lo spopolamento dei piccoli centri. La risposta delle istituzioni tarda ad arrivare, e nel frattempo un pezzo importante dell’identità culturale del nostro Paese continua a rimpicciolirsi

Qualche settimana fa è giunta al termine la rinomata “fiorita” di Castelluccio di Norcia. Ogni anno, fra la fine del mese di maggio e la prima metà di luglio, la fioritura dei campi di lenticchie colora l’ampia pianura ai piedi del Monte Vettore, la vetta più alta dei Monti Sibillini, fra Umbria e Marche. Il periodo della fioritura si conclude con la raccolta del legume a opera degli agricoltori locali.
Quest’anno lo spettacolo è stato particolarmente intenso e, come sempre, la gamma cromatica incredibilmente varia: dal giallo della senape selvatica che fiorisce a maggio, al rosso dei papaveri, al viola dei fiordalisi che arrivano fra giugno e luglio.

Uno spettacolonaturale

Quest’anno lo spettacolo è stato particolarmente intenso e, come sempre, la gamma cromatica incredibilmente varia: dal giallo della senape selvatica che fiorisce a maggio, al rosso dei papaveri, al viola dei fiordalisi che arrivano fra giugno e luglio. Alzando lo sguardo sulle alture intorno si resta inoltre colpiti dall’affascinante profilo di Castelluccio di Norcia, una piccola frazione adagiata fra le vette dei Sibillini. In questa grande piana baciata dal sole, paesaggi naturali e presenza umana non stridono ma si fondono in modo armonico, come le note di uno stesso spartito.

Nella seconda settimana di luglio ho avuto modo di visitare per la prima volta Castelluccio e la sua piana in fiore. Per raggiungere la frazione di Norcia da Cascia, dove ho alloggiato, ho deciso di utilizzare Google Maps, indispensabile bussola del terzo millennio. Complice la viabilità riorganizzata per gestire l’afflusso di visitatori, seguendo le indicazioni dell’app, in un primo momento, mi sono però smarrita lungo la via che da Norcia porta a Castelluccio. Invece di imboccare la strada per raggiungere il Pian Grande, sono arrivata nei pressi di un agglomerato di casette (meglio note come “soluzioni abitative d’emergenza”) affastellate accanto a quel che resta di un piccolo borgo pesantemente danneggiato dai terremoti che qualche anno fa hanno colpito queste zone. Un’involontaria digressione nel corso del tragitto verso il Pian Grande mi ha portato dritta al cuore – anche geografico – di una pagina recente della storia italiana, troppo spesso trascurata.

Una ricostruzionebloccata

Gli eventi sismici del 2016 (protrattisi in realtà fino al gennaio del 2017), che hanno coinvolto il centro Italia e devastato la vita di numerose comunità urbane e rurali, hanno cambiato persino il profilo dell’altura sulla quale si erge Castelluccio. La frazione è stata molto danneggiata e se alcune attività economiche hanno riaperto con fatica in strutture di emergenza o hanno potuto trasferire altrove i banchi per la vendita dei prodotti locali, la ricostruzione degli edifici procede ancora a rilento. Sono passati quattro anni e in questo lungo arco di tempo, nonostante gli sforzi, la ricostruzione delle località coinvolte è praticamente bloccata anche a causa di difficoltà burocratiche, come ha ricordato il 24 agosto il Capo dello Stato in occasione dell’anniversario della prima scossa.

Conserviamo con sconforto nella nostra memoria le immagini del duomo di Norcia, quasi completamente raso al suolo dalle scosse: quel che resta dell’edificio è oggi intabarrato in un cappotto di impalcature metalliche. Le attività commerciali di Norcia sono state trasferite fuori dalle mura della città, dove continuano a offrire ai visitatori i prodotti del luogo. Sicuramente il turismo può essere un elemento importante nell’ambito della ripresa economica delle città e dei borghi colpiti dal sisma in Umbria, nelle Marche, nel Lazio e in Abruzzo: molte di queste località sono ogni anno meta di turismo culturale, gastronomico e religioso. Ho ricordato prima Castelluccio di Norcia e la sua fioritura, ma ci sono anche Amatrice, Accumuli e Cittareale nel Lazio, Cascia e Norcia in Umbria, Visso, Arquata del Tronto e Tolentino nelle Marche.

Tuttavia, al di là del loro innegabile valore storico-artistico e culturale, tutti questi luoghi sono espressione di un valore persino più importante: si tratta, infatti, di centri abitati da comunità di cittadine e cittadini. Con notevoli danni alle strutture di questi piccoli centri, gli abitanti sono stati deprivati di una parte importante della propria identità e, nei fatti, di quello che il filosofo francese Henri Lefebvre definirebbe il diritto alla città. Per le donne e gli uomini membri di queste comunità è venuta meno la possibilità di fruire di spazi comuni, pubblici, che pertanto hanno perso la loro funzione collettiva e sociale.

Anche le abitazioni e gli edifici privati hanno subito danni consistenti e gli interventi di ricostruzione o riparazione procedono a rilento. Nel periodo di emergenza sanitaria legato al COVID, queste comunità già colpite sismico hanno incontrato ulteriori difficoltà: i lavori di ricostruzione hanno subito una decisa battuta d’arresto, e decine e decine di persone hanno trascorso anche il lungo periodo di quarantena nelle strutture abitative di emergenza.

Lo Stato è un organismo, un corpo vivo: chi lo governa e amministra ha il compito di prendersi cura degli organi che lo compongono, a partire dalle sue cellule più piccole. La classe politica deve occuparsi dei luoghi colpiti dal sisma e delle persone che li abitano, affinché città e borghi continuino a esistere e a essere vissuti. Questa riflessione assume una particolare rilevanza anche in relazione alla necessità – estremamente attuale – di ri-popolare i comuni più piccoli, rendendoli appetibili per le persone vi risiedono. Il rischio, dietro l’angolo in tante zone d’Italia, è un’emorragia di abitanti e la conseguente scomparsa di comunità e territori significativi per la cultura e l’identità del Bel Paese: non possiamo lasciare che piccoli comuni o frazioni come Montemonaco (AP) e Castelluccio di Norcia diventino borghi fantasma, per quanto tristemente poetica possa risultare questa immagine.

A tale scopo, bisogna tenere alta l’attenzione della classe politica e non perdere di vista l’obiettivo di una ricostruzione che possa restituire alle cittadine e ai cittadini i contesti dai quali essi provengono e nei quali hanno il diritto di tornare a vivere. È importante celebrare il ricordo di un evento tragico per non perderne la memoria. Il 24 agosto, però, non deve essere soltanto una triste ricorrenza, bensì una realtà su cui lavorare quotidianamente, con fatica e rapidità ma soprattutto lungimiranza. Come scriveva sull’Huff Post Guido Castelli, presidente della Ifel-Fondazione Anci, c’è bisogno di una «visione strategica», di un progetto che consenta di trasformare l’esigenza della ricostruzione post sisma in un’occasione – tanto imperdibile quanto indispensabile – di totale riqualificazione delle aree colpite.

Gli agricoltori di Castelluccio sono tornati al lavoro con solerzia per dedicarsi alla produzione di un’eccellenza gastronomica. Grazie alla loro attività, ogni anno migliaia di turisti si mettono in viaggio per assistere allo spettacolo vivace offerto dalle piante che infestano i campi di lenticchie. Proviamo a seguire il loro esempio: rimettiamoci al lavoro liberandoci dall’immobilismo burocratico per rilanciare la centralità dei nostri paesi e dei nostri borghi, esaltando la loro vocazione di musei a cielo aperto e favorendo, al contempo, il recupero di una dimensione produttiva ed economica competitiva. Solo così queste realtà potranno riacquistare pienamente il valore che, prima di ogni altro, le caratterizza come comunità umane: la loro dimensione sociale.

Silvia Notarfonso

 

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