di Andrea Garreffa, cofondatore di 6000 sardine

Alla creatività, all’arte, all’uso misurato delle parole e all’idea che si possa fare Politica divertendosi, consegniamo il nostro futuro, senza chiedere a nessuno di venirci dietro. Ciascuno prenda la direzione che vuole, segua i venti che ritiene lo porteranno lontano, ma non si faccia ammaliare dalle sirene. E ricordi sempre a sé stesso che la libertà è piena solo se ha la forza di riconoscere gli avversari e, pacificamente, di sommergerli.

Finisce così il libro Le sardine non esistono, edito da Einaudi nel 2020. In qualità di co-autore, svelo il finale poiché avverto l’urgenza di riportare queste parole all’attenzione nel presente. È importante infatti fare chiarezza su alcuni punti del percorso politico delle sardine dopo quel 26 gennaio 2020, giorno delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, e capire come tutto questo si intrecci (o no) con le sorti del PD.

Le sardine hanno fallito?

No. Hanno raggiunto lo scopo iniziale che si erano poste sul finire del 2019: arginare l’ascesa delle forze di destra in Emilia-Romagna e proporre una forma festosa e pacifica di partecipazione alla vita democratica.

Le sardine sono state un’opportunità mancata o non colta? No. In molti ci suggerivano di convertire l’adesione popolare alle nostre iniziative in consenso da capitalizzare ad un appuntamento elettorale. Non lo abbiamo fatto perché noi in primis non credevamo in questa prospettiva. In secondo luogo avevamo ben chiaro che l’ondata di partecipazione si era scatenata proprio perché le persone nutrivano la speranza di non essere usate per secondi fini. Abbiamo provato a non deluderle.

Mattia si è candidato come consigliere in Comune a Bologna ed è stato eletto, ma lo ha fatto annunciando che si trattava di un progetto politico personale, indipendente dal PD e dalle sardine. Che ci si creda o no, è andata così. Resta indubbio il fatto che è e sarà sempre difficile per lui (e per tutti coloro che ci hanno seguito) sancire una distinzione tra la sua persona e l’immagine pubblica delle sardine. Per quanto difficile, oggi è indispensabile fare questa distinzione, se si intende guardare avanti: Mattia non è solo le sardine e le sardine non sono solo Mattia. Credere in questa funzione “identità” è dannoso per entrambe le parti, soprattutto sul piano della comunicazione pubblica.

Cosa sono le sardine oggi?

Bella domanda! Esistono due risposte, una formale e una informale. Ed è qui che nascono le ambiguità che è bene sanare, finalmente.

Formalmente le sardine si sono costituite come associazione con il nome “6000 sardine”. Oggi l’associazione conta poco più di un centinaio di iscritti. È presieduta da un Consiglio Direttivo e l’operatività è garantita dall’esistenza di un cosiddetto Comitato Esecutivo composto da nove persone sparse in tutta Italia, regolarmente elette in una assemblea svoltasi a Trieste pochi mesi fa. Doverosa precisazione: Lorenzo Donnoli e Jasmine Cristallo, per scelta, oggi non fanno parte dell’associazione 6000 sardine, dunque ogni loro dichiarazione pubblica è fatta a titolo personale e non a nome delle sardine.

Informalmente le sardine sono un ricordo, un sentimento popolare diffuso sul finire del 2019, principio del 2020, mai consolidatosi nelle vesti di movimento di massa. D’altronde come potrebbe un movimento di massa consolidarsi? Il concetto stesso è antitetico. Lo chiarisce benissimo Elias Canetti nel suo “Massa e potere.

Canetti opera una distinzione netta tra una massa aperta, che ha come obiettivo quello di espandersi indefinitamente, senza curarsi della sua durata o stabilità interna, e una massa chiusa, che invece sacrifica l’espansione in favore della durata. Io credo che il passaggio da massa aperta a massa chiusa sia il problema che qualunque organizzazione politica in divenire si trova a dover affrontare. L’abilità nella gestione di questo passaggio è la chiave del destino di una comunità che si dice interessata alle proprie sorti.

L’associazione 6000 sardine, espressione di un tentativo di massa chiusa che si dota di regole interne funzionali alla sua durata, è il meglio che abbiamo saputo produrre, ed è l’unica cosa concreta che resta e che supera la fugacità degli articoli di giornale o i facili entusiasmi di masse aperte, certamente elettrizzanti, ma al contempo scomposte e destinate fisiologicamente alla dissoluzione. La verità è che masse aperte e masse chiuse dipendono le une dalle altre, legittimano l’esistenza reciproca e si nutrono della fluidità/solidità delle due parti. Non esisterebbero isole alle quali poter approdare se non esistesse il mare, e viceversa… Non esisterebbe un mare se l’acqua non potesse distinguersi da una porzione di terra.

Si parta dunque da qui…

Si parta dal riconoscimento del fatto che le sardine come movimento di massa sono state un esperimento e oggi sono un bel ricordo. Le persone che hanno indossato la maschera ittica esistono ancora, ma la maschera l’hanno deposta. Non sventolavano bandiere e non tiravano pietre. Non avevano bisogno di sovrastrutture identitarie e neppure di ricorrere alla violenza per affermare le proprie idee. I corpi fisici e l’uso creativo di un simbolo emerso dagli abissi erano le loro armi di civiltà.

Da oggi in poi sarebbe bello che nessun giornale, nessun politico e nessun antico portavoce provasse più a usare le sardine come spauracchio o come strumento per attrarre visibilità o consensi. Perché il segreto sta tutto qui: la fine delle sardine era, in realtà, il loro inizio. Quello in cui ciascun cittadino, una volta deposta la maschera, è chiamato alla comprensione della realtà, alla sua eventuale critica e all’impegno perché a trionfare siano la libertà e la democrazia, non il bisogno infantile di nuovi leader (stelle cadenti) o di un’arena nella quale vince chi la spara più grossa (cimitero di stelle cadute).

Chissà che anche la comunità del PD, che tante speranze (e paure) aveva riposto nelle sardine, non faccia propria questa consapevolezza e decida, con il riconoscimento della fine di un capitolo della propria storia, di sancire un nuovo inizio. Chissà che l’approdo di Elly Schlein all’isola del PD non ne favorisca un cambiamento. Io lo spero e lo auspico, ma il PD è una massa chiusa ed Elly vi approda dal mare aperto. Difficile pensare che un’isola sia realmente disposta a cambiare le proprie leggi in funzione dell’ultima arrivata e dei tanti naufraghi della sinistra.
Sperarlo non è inutile, forse solo un po’ ingenuo.
In mancanza di alternative migliori, in questo momento è indubbiamente necessario.

La fine è il nostro inizio

Di seguito i dieci punti che, nel Novembre 2019, hanno permesso alla scintilla iniziale di far divampare un fuoco grande come il mare. Giunti alla fine, ricordiamo l’inizio della storia in cui “6000 sardine sconfissero un pirata”.

  1. I numeri valgono più della propaganda e delle fake news.
  2. È possibile opporsi alla retorica populista. Come? Attraverso arte, bellezza, non-violenza, creatività e ascolto.
  3. La testa viene prima della pancia. O meglio, le emozioni vanno allineate al pensiero critico.
  4. Le persone vengono prima degli account social.
  5. Protagonista è la piazza, non gli organizzatori.
  6. Nessuna bandiera, nessun insulto, nessuna violenza. Siamo inclusivi.
  7. Non siamo soli, ma parte di relazioni umane.
  8. Siamo vulnerabili e accogliamo la commozione nello spettro delle emozioni possibili, nonché necessarie. Siamo empatici.
  9. Le azioni mosse da interessi sono rispettabili, quelle fondate su gratuità e generosità sono degne di ammirazione. Riconoscere negli occhi degli altri i propri valori è un fatto intimo ma rivoluzionario.
  10. Se cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare. Occorrono speranza e coraggio.

Testo letto e approvato dal Comitato Esecutivo dell’associazione 6000 sardine in data 5 dicembre 2022.