Alcuni giorni fa, il Parlamento europeo ha stabilito una clausola sullo Stato di Diritto per accedere alle risorse del Recovery Fund e del bilancio europeo 2021-2027. Lo Stato di Diritto è quel principio che salvaguarda il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini e che ci permette di convivere in una democrazia dove “la Legge è uguale per tutti”. Vale a dire che, in caso di violazioni di principi fondamentali quali l’autonomia della magistratura, la libertà d’espressione e di informazione, o il diritto alla salute, l’Unione potrebbe bloccare l’erogazione dei fondi agli Stati responsabili.

Ieri si è svolta un’importante riunione del Coreper, organismo che riunisce i rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’Unione Europea, durante la quale sono state votate due questioni: la clausola sullo Stato di Diritto e gli accordi sul bilancio 2021-2027, necessari per avviare la procedura di emissione dei fondi anti-crisi, i famosi 750 miliardi di cui oltre 200 sono destinati all’Italia.

Sulla prima bastava la maggioranza qualificata. 

È stata approvata.

La seconda necessitava dell’unanimità. 

Non è stata approvata.

Gli ambasciatori di Polonia e Ungheria si sono opposti perché contrari alla clausola dello Stato di Diritto. Di fatto, contrari alla libertà.

Se non si troverà un accordo nei prossimi giorni al Consiglio europeo, che si ricorda riunisce i capi di Stato, correremo il serio rischio di arrivare al 2021 senza l’approvazione di bilancio. Di conseguenza, anche l’erogazione dei fondi sarà ritardata, il che andrà ad aggravare ulteriormente una situazione già drammatica. 

L’Europa è a un bivio. La posta in gioco non è soltanto quella dei fondi per la ripresa economica del continente falcidiato dalla pandemia. La Storia è rientrata in Europa senza bussare e ci pone davanti domande fondamentali. Le decisioni prese in questi giorni e nei mesi a venire daranno forma al nostro futuro, prossimo e remoto. Il progetto comunitario è nato dalle macerie della guerra, come antidoto alla nebbia del nazionalismo che aveva sprofondato il vecchio continente nella notte più buia dell’umanità. L’Europa è la convivenza dei popoli che la compongono, è il frutto di tanti compromessi, creatura imperfetta ma prova vivente della necessità della Politica. Perché l’Unione Europea è l’essenza della buona politica: unita nella diversità.

E allora bisogna porsi queste domande fondamentali e avere il coraggio di dare risposte radicali. Su quali valori è – e deve essere – fondata l’Unione? Siamo disposti a subire il ricatto di governi illiberali? Siamo disposti a pagare il riscatto della loro partecipazione al progetto europeo rinunciando ai nostri valori fondanti?

Siamo già in ritardo. Certe domande andavano poste ben prima dello scoppio della pandemia. Ora è il momento delle risposte.

Polonia e Ungheria non meritano di fare parte dell’Unione. Opporsi allo stanziamento dei fondi necessari per il rilancio, in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, dimostra quanto meno irresponsabilità. Se poi è un’opposizione data dal rifiuto dei diritti fondamentali dei loro cittadini, allora in gioco non ci sono solo i soldi, ma la concezione stessa del vivere comune.

L’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’ex Unione Sovietica, e in particolare il cosiddetto “blocco di Visegrad” (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) avvenuto nel 2004, è stato un passo più lungo della gamba. Ma anche un chiaro esempio di come le sorti dell’Unione siano da sempre dettate oltre l’Atlantico. L’entrata di questi paesi è stata infatti una scelta obbligata dalla necessità di mantenerli all’interno della sfera di influenza statunitense a scapito della Russia. Forse è giunto il momento di ambire a svincolarsi dalla posizione di sudditanza strategica che ci è stata imposta all’indomani della guerra.

E qui sorge il dilemma: L’Unione Europea si rafforzerà oppure diventerà materia per i libri di storia. Perché in realtà l’Europa non esiste. Non è uno Stato, non si può considerare come un’entità politica coerente e unitaria. L’Unione Europea sono gli Stati che la compongono e che spesso hanno interessi conflittuali. Se è già difficile – e talvolta pericoloso – individuare un interesse generale all’interno di una nazione, tanto più lo è in un raggruppamento di 27 Stati. Coloro che criticano l’Europa come fosse solo un gruppetto di banchieri massoni che ci impone i suoi capricci di austerità, dimenticano – o fingono di dimenticare – che le decisioni che contano davvero sono prese dal Consiglio europeo, cioè i governi degli stati membri. Quindi, se decisioni importanti come i fondi per la ripresa vengono bloccate, non è “colpa dell’Europa”, è colpa di chi vota contrario. Nel caso di ieri, si ribadisce, contrario alla libertà, bloccando i fondi di cui tutti, Italia in particolare, hanno un disperato bisogno. Proprio da parte di coloro che siedono a fianco alla destra nostrana al Parlamento europeo. Alla faccia dell’interesse nazionale.

E allora fino a che punto si può spingere l’integrazione europea? Fino a che punto essa si può affermare come entità sovranazionale? Probabilmente, fino a un certo punto. Non diventeremo gli Stati Uniti d’Europa, come alcuni sognano guardando al “modello” americano, utopia irrealizzabile di cui troppo spesso la sinistra è stata portavoce, non comprendendo che il senso di nazione e l’Euroscetticismo sono ben radicati al di fuori delle “bolle” urbane multiculturali che raccolgono i frutti della globalizzazione. Un fenomeno, lo scollamento fra centro e periferia, che riguarda tutto il mondo occidentale, si pensi alla Brexit o anche alle recenti elezioni americane. 

Alla luce di queste profonde trasformazioni della società, dovremmo piuttosto ambire a realizzare davvero il motto europeo: uniti nella diversità, affrontando le sfide collettive che travalicano ogni confine – come la pandemia, le migrazioni e il cambiamento climatico – pur mantenendo le nostre istituzioni nazionali, emanazione delle diverse culture che compongono l’Unione. Uniti nei principi di libertà e giustizia sociale, che dovrebbero essere messi nero su bianco in una Costituzione. E perseguendo la pace anche oltre i nostri confini, senza ostentare amicizia per poi competere sullo scacchiere internazionale come finora è stato fatto, al prezzo di tante vite innocenti. 

L’Europa è a un bivio, un bivio storico, un grande classico.

Essere o non essere.

Enrico Peschiera