“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.” Così inizia il penultimo dei principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. 

Nonostante questo, l’Italia continua a non dare la disponibilità a firmare e ratificare il TPNW (Treaty for the Prohibition of Nuclear Weapons). Le ragioni sono molte, e le dinamiche assai complesse e a dir poco delicate. Per questo motivo, mi limiterò a mettere in evidenza alcuni elementi che possono essere presi in considerazione per ulteriori riflessioni in futuro.

Dopo che il cinquantesimo Stato (Honduras) lo ha ratificato il 24 ottobre di quest’anno, il trattato entrerà in vigore a gennaio 2021. In linea con quanto prevede la nostra Costituzione e lo spirito di solidarietà che dovrebbe legare il nostro paese al resto del mondo, l’Italia è chiamata ad aderire a questo importante Trattato. Serve innanzitutto una chiara presa di posizione da parte dell’opinione pubblica e poi, di conseguenza, delle istituzioni, per mandare un forte messaggio di Pace. Come descritto da ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), un sondaggio di YouGov condotto ad aprile 2019 dimostra che almeno il 70% degli italiani è favorevole a sottoscrivere il trattato: solo il 16% si è espresso contrario. Prendere atto di questa posizione è un dovere dei nostri politici. Tra le principali motivazioni che sicuramente frenano l’Italia, la prima è la presenza di “approssimativamente 40 bombe nucleari B61” statunitensi (v. www.icanw.org), assegnate dalla NATO all’aeronautica militare italiana in forza del Nuclear Sharing Agreement. Questo accordo non fa altro che procurare armi nucleari a tutti quegli Stati della NATO che ne sono sprovvisti. È bene anche informare che questi strumenti d’odio, come il PAL (Permissive Action Link), non sono controllati dall’Italia, bensì dall’USAF (United States Air Force): il PAL è un apparecchio che garantisce l’accesso all’attivazione dell’arma nucleare solo a chi ne ha l’autorizzazione (ovvero si trova in possesso del codice da inserire o della preimpostata impronta digitale). 

Le istituzioni Italiane hanno il dovere assoluto di trovare coraggio e prendere una posizione favorevole rispetto alla firma del trattato. Per ora, il nostro Paese sta mandando un messaggio di sudditanza rispetto alle regole imposte dalla NATO, in questo caso palesemente incompatibili con il progresso umano verso un sogno di Pace e Fratellanza, di diritto alla vita e di rispetto dei diritti umani. Come menzionato sopra, un motivo per cui le istituzioni non si sono espresse pubblicamente rispetto a questo tema, almeno di recente, è la triste e irremovibile passività della cittadinanza. C’è urgentissimo bisogno di campagne di sensibilizzazione, che purtroppo mancano da tanto tempo. Certo, l’emergenza in corso rende la strada della sensibilizzazione più tortuosa. Questo però non deve giustificarci: abbiamo tutti i mezzi per farci sentire, per mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole il nucleare sul suolo in cui viviamo. La Costituzione ha dato vita a istituzioni che dovrebbero cooperare per l’avvento di un mondo pacifico; sembra invece che porgano l’orecchio dall’altra parte. Il Parlamento deve fare pressione costante per la firma del trattato, così come il Presidente Mattarella dovrà essere pronto a ratificarlo, come previsto dall’articolo 87 della nostra carta costituzionale. Il governo ha l’obbligo di fare luce su questo argomento, senza nasconderlo agli occhi dei cittadini e delle cittadine. Voglio ricordare che, come riportato in maniera chiara da ICAN, Luigi Di Maio “has pledged” (ha promesso di impegnarsi solennemente) a firmare il trattato: era il lontano ottobre 2017 (pochi mesi dopo l’adozione da parte della General Assembly dell’ONU del trattato, avvenuta il 7 luglio 2017). Anche se, è bene rimarcarlo, il nostro Paese ha votato contro la risoluzione del 2019 dell’assemblea generale dell’ONU, che invitava gli Stati a sottoscrivere il trattato il prima possibile.

Il problema della militarizzazione è sempre attuale: sono le nostre tasse a finanziare, ogni giorno, la morte delle persone. Mi vengono in mente il finanziamento della guardia costiera libica, i soldi alla Turchia, la vendita di armi all’estero. La domanda che mi sorge spontanea non ve la nascondo: dov’è la sinistra? Dove sono i movimenti pacifisti? Nichi Vendola ha evidenziato uno dei problemi principali della sinistra: non ha più una bussola e manca una rotta. La sinistra deve ritrovare entrambe. Dia qualche segno di vita.

In questo vecchio pazzo mondo fatto al contrario, ci ostiniamo a considerare illegali le persone e legali le armi: capite bene che c’è qualcosa che non va in questo sistema. L’ottica in cui agisce la politica è completamente disorientata da terribili interessi economici, che finiscono sempre per corrompere le istituzioni. Dobbiamo invertire rotta: riportare sulla giusta via la nostra politica. È evidente che continuare a considerare l’immigrazione un problema di ordine pubblico e non firmare un trattato così importante è imbarazzante. Fa male, per quanto fosse scontato, vedere che neanche il coronavirus ha indotto il governo a capire che “sicurezza” non significa avere F35A più forti o bombe nucleari, ma avere ospedali migliori, fare inclusione e integrazione, portare uguaglianza e giustizia. Tutta questa vicenda mi fa preoccupare per come verranno destinate le risorse del Recovery Fund: la storia ce lo dirà.

Non sono da sottovalutare le tante strutture che tengono insieme i Paesi della NATO. È un tema assai ampio che richiederebbe un capitolo a sé. La posizione di sudditanza degli Stati alleati rispetto agli USA ha creato non poche difficoltà anche in merito alla questione che qui è trattata. L’amministrazione Trump ha più volte anche tentato di far ritirare la firma a tutti quegli stati che finora hanno aderito al Trattato. Con l’imminente cambio ai vertici, vedremo che linea decideranno di sposare Biden e Harris. 

In ogni caso, l’Italia non può tirarsi indietro dall’esprimersi favorevole a firmare e poi ratificare questo trattato, che segna un importante passo verso la realizzazione di un sogno di pace. Attenderemo, con l’auspicio che anche il nostro Paese si unirà al coro “we shall live in peace some day.”

Giovanni Greco

Questo testo è stato pubblicato anche sulla pagina de L’Informazione Giovane

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