Tutti noi, nel corso della giornata, consumiamo energia elettrica. E, negli ultimi anni, ne abbiamo avuto sempre più bisogno, anche solo per poter lavorare al pc, accendere il climatizzatore in casa o in ufficio, ricaricare lo smartphone o l’auto elettrica. 

Ciò che probabilmente non conosciamo o non ci domandiamo è come e dove questa energia venga prodotta. Eh già, perché consumare energia elettrica non significa necessariamente abbattere le emissioni di sostanze tossiche nell’aria. 

La Commissione europea ha da poco presentato il Green Deal, un insieme di misure che puntano ad azzerare l’impatto dei Paesi UE sul clima entro il 2050. Ciò significa che in questo trentennio l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dovrà gradualmente aumentare, fino a coprire anche la quota ora prodotta dai combustibili fossili.

Si tratta di un traguardo di estrema importanza ma anche molto lontano, perché la combustione delle fonti fossili libera attualmente oltre l’87% del carbonio che si sta accumulando nell’atmosfera terrestre e che è il principale responsabile dell’alterazione climatica e, dunque, del riscaldamento globale. Fenomeno, quest’ultimo, sempre più evidente e con impatti devastanti su diverse aree del nostro territorio: dalle violentissime raffiche di vento di pochi giorni fa ad Alessandria alla bomba d’acqua di Milano o al nubifragio di Palermo del luglio scorso, dalla violenta pioggia durata 48 ore ininterrotte sulla Liguria all’acqua che a Venezia raggiunse livelli record nel novembre 2019.

Questi eventi sono il sintomo del malessere del nostro pianeta e sono direttamente legati all’inquinamento, al quale contribuisce anche la produzione di energia elettrica.

Il malessere del pianetadipende da noi

Ma non buttiamoci giù, perché i primi segnali di una inversione di rotta si iniziano a cogliere.

Lo scorso anno, per la prima volta, la quota di energia da fonti rinnovabili è stata superiore a quella generata dal combustibile fossile più nocivo in assoluto, il carbone. Una grossa fetta del fabbisogno energetico, tuttavia, viene ancora da centrali che bruciano questo combustibile, immettendo nell’aria tonnellate di carbonio e di polveri sottili altamente nocive per la salute dell’uomo.

La maggior parte delle centrali a carbone del Vecchio Continente si trova in Germania e in Polonia, ma anche nel nostro Paese ce ne sono una decina. Due di esse, purtroppo, rientrano tra le 30 più inquinanti in Europa. Si tratta della centrale di Torrevaldaliga Nord, vicino Civitavecchia, e di quella di Cerano, a sud di Brindisi.

Per comprendere l’impatto devastante che queste centrali hanno sull’ambiente circostante, si pensi che nel solo 2012, secondo i dati che Enel ha aggiornato nel registro EPRTR sulle emissioni, la sola centrale di Brindisi ha prodotto 12.200.000 tonnellate di anidride carbonica (gas che contribuisce alle alterazioni climatiche), 7610 tonnellate di anidride solforosa (gas tossico, corrosivo e cancerogeno del gruppo 3 IARC), 7060 tonnellate di ossidi di azoto (tossici e corrosivi), 156 tonnellate di particolato PM10, 2200 tonnellate di monossido di carbonio (tossico), 3,28 tonnellate di benzene (cancerogeno del gruppo 1 IARC, legato in particolare all’insorgenza di leucemie), 125 Kg di nichel e 156 Kg di cromo (cancerogeni del gruppo 1 IARC, con particolare incidenza sul tumore al polmone), 53,2 Kg di mercurio (tossicità acuta, che intacca il sistema nervoso, e cancerogeno del gruppo 3 IARC), 27,1 Kg di cadmio (cancerogeno di classe 1 IARC, con incidenza sui tumori di polmoni, reni e prostata).

Tutto questo ha ricadute dirette non solo sulla salute dei cittadini ma anche sulle attività economiche, poiché nei campi attorno alla centrale sono vietati l’allevamento di bestiame e la produzione agricola.

Ci stiamoavvelenando

La dismissione totale di tutti gli impianti a carbone in Italia è finalmente iniziata e dovrebbe completarsi entro il 2025. Questa è certamente una notizia che fa ben sperare e che ci consentirà di liberarci, nel giro di pochi anni, da questo combustibile estremamente inquinante.

Il problema è che il carbone non verrà sostituito da fonti di energia rinnovabili ma da un altro combustibile fossile e, pertanto, comunque inquinante: il gas metano.

Per alcune centrali, come quella di Brindisi, il graduale passaggio al gas è previsto già a partire da gennaio 2021. Il nuovo impianto punta al riutilizzo di parte della struttura oggi in funzione, sostituendo le unità a carbone con quelle a gas e migliorando le prestazioni ambientali attraverso l’incremento dell’efficienza energetica.

La riconversione avviata non è dettata da una improvvisa ventata green ma si rende necessaria per due fattori principali.

Innanzitutto il costo  della materia prima, che ricade anche direttamente sulle nostre bollette: il gas è più economico del carbone, che oggi viene completamente importato da Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Indonesia, Colombia, Canada, Cina, Russia e Venezuela. In Italia, infatti, non ci sono giacimenti di questo materiale, a eccezione del bacino sardo del Sulcis Iglesiente che, però, oggi produce un milione di tonnellate all’anno di un carbone considerato di scarsa qualità e non utilizzabile per l’alimentazione delle centrali elettriche.

L’aumento dei prezzi di questo combustibile è legato alla sua sempre minore disponibilità: il WWF ha recentemente dimostrato che, continuando a questi ritmi, esso si esaurirà nell’arco di cinquant’anni. Per cui, oltre all’impatto ambientale devastante, ci si ritroverebbe anche senza materia prima.

Ma il passaggio al gas metano dipende anche dal fatto che siamo ancora ben lontani da un’autosufficienza delle fonti rinnovabili e, fino a che non si riuscirà ad aumentare la loro quota, sarà difficile riuscire ad abbandonare i combustibili fossili.

Certo è che se vogliamo evitare che l’aumento delle temperature globali superi 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo, come auspicato dell’Accordo di Parigi, una transizione verde è necessaria e tutti gli Stati del mondo devono ridurre le emissioni del 7,6 per cento ogni anno fino al 2030, come ci ricorda l’Emissions gap report pubblicato dall’Unep (Programma delle Nazioni unite per l’ambiente).

Insomma, i primi timidi passi verso una produzione energetica sempre più sostenibile sono in corso e si spera che la ricerca scientifica possa fornirci alternative nuove e sempre più sostenibili, ma anche convenienti dal punto di vista economico, in modo tale che gli investimenti in quest’ambito possano aumentare.

Certo sta anche a noi, in attesa che l’energia elettrica venga prodotta da fonti totalmente rinnovabili, provare a limitarne i consumi. Sarà un bel vantaggio per l’ambiente, ma anche per le nostre tasche.

Francesco Meo

Fonti