L’11 di agosto io e il mio collega siamo stati tirati fuori dalla macchina. 

La nostra colpa? Abbiamo suonato il clacson per protesta. 

Ci hanno forato tutti gli pneumatici e arrestati.

Io non ho opposto resistenza durante l’arresto, quindi mi hanno solo preso a pugni alle gambe e al fegato, per impedirmi di scappare. 

Il mio amico invece è stato meno fortunato.

Siamo stati caricati su un furgone per prigionieri e portati al dipartimento di polizia. Durante la perquisizione degli effetti personali siamo stati costretti a sbloccare i telefoni, quando rifiutavamo, ci prendevano a pugni di nuovo, finché non avevamo obbedito. 

Una volta avuto accesso al telefono, hanno cercato tramite Telegram chi avesse votato nella “Voce” (oppure “Il Voto” – una piattaforma alternativa per monitoraggio dei voti reali). Se scoprivano che avevi votato per Tikhonovskaya, ti massacravano di botte. Controllavano anche le immagini salvate nel telefono e se trovavano un video delle manifestazioni, picchiavano ancora di più. Dopo dieci persone trattate così si sono stancati ed allora siamo stati messi in ginocchio per otto ore. Ci hanno costretto a dormire a pancia in giù in una palestra, con una brutta corrente d’aria fredda creata ad arte. 

Di notte c’erano solo +8 °C, eravamo vestiti quasi tutti con pantaloncini e maglietta, è stato un inferno che ha fatto tremare tutti. C’era un uomo che aveva solamente pantaloncini e ciabatte, con la schiena tutta blu dalle botte. In queste condizioni ha dovuto trascorrere due notti.

Durante il giorno, ci hanno portato in furgone a Okrestina (un grande carcere vicino a Minsk) e ci hanno fatto mettere in ginocchio per un’ora, poi ci hanno trasferiti nel cortile. Quel cortile era fatto da quattro mura e una griglia al posto del tetto.

Nel dipartimento di polizia non ci avevano neppure dato da mangiare. In questo cortile invece c’erano due piatti con una poltiglia di pane macinato con grasso (mi viene da vomitare solo a ricordare di averlo ingurgitato, ma non mangiavo da 24 ore) e due sole pagnotte di pane per circa 100 persone. 

Per ciascuno una razione grande quanto un pollice.

L’angolo adibito a latrina non veniva utilizzato a causa del sovraffollamento. Se uno aveva necessità, lo portavano in una piccola cella adiacente. Io non sono andato, ma quelli che lo fecero raccontavano che si trattava di una stanza di 3×2 metri senza finestre con gente ammassata sulle cuccette e tre persone sdraiate sul pavimento. Questa cella era inoltre dotata di un gabinetto e di un lavandino, ed era l’unico bagno per 400 persone. 

Tutti quanti siamo stati costretti ad abbeverarci da un unico secchio di 10 litri e adesso temo di potermi essere infettato con il coronavirus.

Sopraggiunta la notte, la gente voleva dormire, ma come giaciglio c’era solo il pavimento di cemento grezzo. Alcuni non hanno resistito e si sono sdraiati sul pavimento. Chi era un poco più accorto, si sedeva con le scarpe da ginnastica sotto il sedere, appoggiandosi al proprio vicino. Quelli che rimanevano in piedi soffrivano molto il freddo (+9°C e il vento che soffiava dalla griglia); cercavano di stare raggruppati, ma non si riesce a dormire stando in piedi. E così le persone che erano state picchiate, affamate e disidratate si ritrovavano sull’orlo di una crisi di nervi. Io stesso ho pensato al suicidio per tutto il tempo.

Più tardi il furgone per detenuti scaricò un nuovo gruppo di persone che apparivano come fossero “dipinte di blu” in modo impressionante, queste dovevano essere state picchiate con particolare crudeltà. Per tutto il tempo ho visto solo una persona dall’aspetto e dal comportamento bizzarro o violento, tutti gli altri apparivano come cittadini tranquilli, insomma gente normale. Nel nostro cortile hanno gettato un ragazzo che vomitava, il dottore non è venuto da lui, anche se l’avevamo chiamato. Più tardi hanno buttato anche un ragazzo che sulla maglietta aveva la scritta “organizzatore di un movimento sociale”, la cui spina dorsale era tutta storta e che a poco a poco stava diventando pallido. 

Ci deve essere una fossa, dove vengono gettati quelli come lui. 

Avrebbero fatto finta di portarli dal medico per non farli morire davanti a tutti, passaporti e vestiti sarebbero stati bruciati per non lasciare tracce. Nessuno sa dove vadano i furgoni né redige un verbale, né sa quale sia il luogo di detenzione: in questo modo si può essere dichiarati dispersi senza alcuna traccia.

Con l’arrivo di altri detenuti, lo spazio nel nostro cortile si è esaurito e siamo stati costretti a stare in piedi come pinguini, e la sensazione era di soffocare anche se non avevamo un tetto sopra la testa.

Poco dopo, siamo stati rilasciati per essere rimandati a casa (le carceri non riescono a far fronte al numero di persone ingiustamente detenute), ma prima di abbandonare quel luogo, ci hanno fracassato gli arti inferiori e il sedere, in modo da non poter camminare per una settimana e non poter partecipare ad altre manifestazioni. Le percosse subite andrebbero denunciate alla polizia, ma è chiaro che nessuna indagine sarebbe attivata. Alle ragazze è stato detto di togliersi i pantaloni e le mutandine e poi chinarsi. A tutti è stato annunciato che se fossero stati catturati una seconda volta, ci avrebbero fatti marcire qui. Ridevano al pensiero che noi tutti avremmo denunciato quanto accaduto a NEXTA (un nuovo canale su Telegram per notizie in tempo reale). È stato fatto a scopo ovviamente intimidatorio.

La sensazione dopo il rilascio è stata terribile e sconvolgente. 

Dopo essere stato privato del sonno, aver bevuto una tazza d’acqua al giorno e mangiato solo un pezzo di pane grosso come una falange del pollice. Non volevo sottomettermi a un trattamento così disumano.

Ciò che fanno nella loro impunità è folle, è fuori controllo. Ho sentito più di una volta le conversazioni di alti funzionari, che non capiscono perché stiano prendendo così tante persone innocenti, i cosiddetti “pesci piccoli” e i poliziotti nei villaggi, e gli OMON (unita speciale di polizia) si lasciano andare senza freni.