Okrestino è il centro di detenzione temporanea nonché uno dei tanti luoghi dove finisce la democrazia e inizia l’inferno. Più che un carcere è diventato un buco nero, dove si presume siano finite le centinaia di cittadini scomparsi dai radar tra il 9 e il 12 agosto. È qui che i parenti dei desaparecidos si sono ammassati nelle ultime ore per avere notizie. Le poche testimonianze che si hanno da dentro sono più che altro urla e grida. Elena è appena uscita, non ha subito maltrattamenti come alcune sue compagne ma ha dovuto dividere una cella da quattro con altre 35 donne, poi diventate 52. Obbligate a stare in piedi per 48 ore, sono state obbligate ad ascoltare le grida dei ragazzi che venivano picchiati nella cella a fianco. Una permanenza che le è comunque costata una cauzione di 20 “unità di penalità”, pari a circa 190 euro. “Questo non è un resort” le viene detto quando viene fatto notare alle guardie che in due giorni trascorsi in prigione a nessuna delle prigioniere è stato offerto né cibo né acqua. Sul fronte dell’igiene non va meglio. Dentro a Okrestino mancano carta igienica e acqua. Sia alle donne che agli uomini viene detto di lavarsi con le magliette.

“Sono le dieci!” urla Elena appena fuori dal carcere. Il rituale di solidarietà tra detenuti prevede che chi viene rilasciato urli agli altri che ore sono, per dare un punto di riferimento a chi è dentro. Per ottenere il rilascio, Elena ha dovuto firmare dei documenti senza poterli leggere. È così che è stata liberata l’11 agosto 2020. Non sa cosa ha firmato.

Un’attivista della campagna di Sviatlana Tsikhanouskaya ha rifiutato di parlare o firmare qualsiasi cosa. L’hanno portata via dalla cella diverse volte per umiliarla: è stata costretta a spogliarsi, allargare le gambe, mettersi in ginocchio, l’hanno tirata per i capelli. Una cittadina russa ha rifiutato di spogliarsi e di soddisfare le richieste dei poliziotti che l’hanno minacciata di costringerla a sedersi su una bottiglia, una tortura che spesso porta alla lesione del retto.

Nel frattempo i familiari sono fuori ad aspettare, senza sapere se oltre quelle mura ci sono davvero i loro parenti. Alcuni di loro sono già stati a cercarli a Zhodzino, un paesino fuori  Minsk dove viene trasferita tanta gente arrestata. I poliziotti locali non dicono nulla a nessuno, affermando che le liste non sono ancora pronte.

Intorno a mezzogiorno, diversi furgoni della polizia scortati dai militari lasciano il centro di detenzione di Okrestino. I parenti dei detenuti si precipitarono verso i camion, urlano “Siamo qui!” ai loro figli e “Vergogna!” alla scorta. “Ci sono ragazze, solo ragazze!” – grida una donna osservando i volti nel furgone della polizia.

Un’altra giornata di soprusi, violenze e minacce volge al termine. Domani i genitori torneranno alla ricerca dei propri figli, mentre la polizia e l’esercito si rimetteranno a caccia di altri colpevoli di democrazia.