Negli ultimi giorni, le notizie di quanto sta accadendo in Bielorussia hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. In seguito all’annuncio di una larghissima vittoria del presidente uscente Lukashenko, i cittadini bielorussi hanno deciso di scendere in piazza per manifestare il loro dissenso contro il regime autoritario. I brogli elettorali sono stati solo l’ultimo atto di una lunga serie di violazioni dei diritti in un Paese in cui la strada per la democrazia, come ha scritto Sławomir Sierakowski, è ancora lunga. Con la testimonianza di Masha, bielorussa attualmente residente in Italia, abbiamo deciso di aprire una rubrica per seguire gli avvenimenti, convinti che l’impegno per questa battaglia non possa che passare da una sincera presa di coscienza che, in un mondo globalizzato e sempre più interconnesso e interdipendente, deve necessariamente coinvolgere tutte e tutti noi. 

Mi chiamo Masha, sono bielorussa e vivo in Italia.

Dopo il 9 Agosto 2020, giorno delle elezioni presidenziali che hanno dato inizio alla protesta popolare, Internet è stato bloccato, riducendo la possibilità di comunicare con parenti e amici solo attraverso SMS.

Il 12 Agosto è stata ristabilita la connessione e sono riuscita a parlare con mio fratello che abita a Minsk con moglie e figlie.

Queste sono le sue parole, ho pensato di tradurle per rendere participi più persone possibili. Se vorrete condividerle mi e ci sentiremo meno soli in questa situazione assurda.

“Ora comprendiamo chiaramente cosa significhi vivere in un paese dove non c’è legge né ordine. È come essere in una specie di acquario, dove ci guardano, ci nutrono e ci dicono cosa dobbiamo fare. Oggi vediamo con occhi diversi la nostra polizia, i nostri militanti. Non sono più agenti delle forze dell’ordine, sono i pesci guardiani e i pesci punitori in questo acquario. Ho paura di uscire a fare la spesa alla sera, ho paura di camminare per strada tornando dal lavoro. Potrei essere picchiato dalle forze dell’ordine con i manganelli. Potrei essere arrestato e messo in prigione per giorni senza motivo e senza possibilità di comunicarlo alla mia famiglia.

Non sono l’unico ad avere paura. Abbiamo tutti paura.

Abbiamo paura a girare in bicicletta da soli. Abbiamo paura anche solo a muoverci in città la sera in macchina: la polizia può fermarci, rompere il vetro della macchina, picchiarti. È già successo ad altri, quindi può succedere anche a noi. Ci fa rabbia guardare la TV statale, perché raccontano solo bugie. Abbiamo paura che in qualsiasi momento possano disattivare le comunicazioni Internet e telefoniche. 

Abbiamo paura di non essere più in grado di contattare i nostri parenti e amici.

La nostra colpa?

Volevamo soltanto elezioni regolari, volevamo che i nostri voti fossero contati, volevamo vivere in un paese migliore.

Ora, invece, ci troviamo in un acquario che sembra un inferno.”