Al tramonto dei primi vent’anni del Terzo Millennio, l’umanità sta lentamente prendendo coscienza che il sentiero di sviluppo imboccato alcuni decenni fa ci ha portati sulla cattiva strada ed è fondamentale tornare sui nostri passi. Le società che abbiamo costruito subiscono gli effetti di eventi atmosferici sempre più estremi, rappresentati dai cambiamenti climatici. Gli scambi commerciali sempre più frequenti tra le nazioni, cresciuti nell’ultimo secolo, hanno spesso creato ricchezza e opportunità. D’altro canto, il sistema neoliberale ha anche causato la finanziarizzazione dell’economia reale e le disastrose bolle finanziarie, crisi di sovra-produzione, industrializzazione intensiva, lo strapotere dilagante delle multinazionali e il rapido impoverimento di ampie fette della classe media e lavoratrice dei paesi sviluppati. I gravi squilibri a cui oggi siamo esposti, dunque, derivano dalle scelte delle élite politiche ed economiche, avallate dalla maggioranza della popolazione.
In termini geologici, siamo entrati in quella che gli scienziati chiamano “Antropocene”, un’era in cui gli esseri umani hanno il potere di modificare pesantemente gli equilibri naturali preesistenti. In particolare, l’attività umana ha la responsabilità dell’aumento vertiginoso e insostenibile delle emissioni di idrocarburi nell’atmosfera, alla base del riscaldamento globale sempre più grave che registriamo in questi decenni. Questa dinamica impatta sugli ecosistemi e sulla biodiversità, compromettendoli per sempre.
In ambito economico, la privatizzazione di interi settori e la liberalizzazione dei mercati di capitali ha spinto le imprese di tutto il mondo a inseguire i più risibili margini di profitto, costringendo le nazioni ad utilizzare la leva competitiva della compressione dei salari e dei diritti verso il basso, in particolare della classe lavoratrice dei paesi più ricchi, per attirare investimenti. Inoltre, a mettere ulteriormente in crisi il mondo del lavoro incide pesantemente anche la rivoluzione industriale digitale, che sta passando sulle nostre teste e che dobbiamo essere pronti ad accettare, senza però rinunciare a intervenire per limitarne le storture, come la perdita di professionalità e di valore aggiunto del fattore lavoro.
Molte nazioni del mondo, in particolare le più potenti, faticano a trovare soluzioni condivise a queste problematiche, si rifugiano piuttosto in politiche protezionistiche dell’economia, tentano di accaparrarsi le risorse naturali strategiche (provocando gravi squilibri geopolitici nelle aree in via di sviluppo, come l’Africa centrale) e si attestano su posizioni spesso reazionarie, estremamente pericolose per le relazioni internazionali. A fronte delle complessità che ci troviamo ad affrontare, il populismo di destra cresce sempre più nei consensi, attraverso la tipica propaganda della costruzione di un nemico e della retorica cospirazionista, valorizzata dall’ascesa di nuove forme di comunicazione che perfettamente si prestano a questo gioco pericoloso, come i social network. Fomentare l’odio e il sospetto contro lo straniero, schiacciare con violenza la diversità, denigrare la scienza e i pericoli che denuncia in un momento di grande tensione globale, è la strategia attraverso la quale questa “Internazionale Ultra-Conservatrice” intende conquistare il potere e dividere i popoli, minando le prospettive della pace e colpendo chi si batte per un futuro fatto di maggiore dignità per tutte e tutti. A questo quadro va aggiunta la pandemia planetaria, frutto perverso del combinato disposto tra capitalismo rapace e riscaldamento globale, che stiamo provando ad affrontare con alterne fortune. I sistemi democratici, in particolare quelli occidentali, vedono messa in crisi la loro credibilità proprio a causa del fatto che questi sono, per cultura e per giurisprudenza, decisamente più “impacciati” nell’imporre misure di salvaguardia drastiche in momenti di grave pericolo per l’intera comunità, dovendo controbilanciarle sempre con la tutela delle libertà individuali. Oltre a questo, è indubbio che questa crisi sanitaria si stia trasformando nella più pesante crisi economica dal Secondo Dopoguerra ad oggi, a causa delle periodiche chiusure forzate. Queste sono rese necessarie dall’intrecciarsi di tre elementi: un settore sanitario insufficiente nell’affrontare crisi di tale portata, disorganizzazione tecnica nel contrasto alla diffusione del contagio e mancanza di collaborazione di una parte della popolazione. Questo mix, unito alla virulenza dell’epidemia, costringe l’intera società a sacrifici pesantissimi e a terribili soluzioni. Un aspetto da non sottovalutare, in questo quadro allarmante, sono i risvolti e le conseguenze psicologiche di questo sconvolgimento esistenziale. La distanza fisica tra le persone si sta trasformando in distanza emotiva e mentale, dunque in ulteriore imbarbarimento delle relazioni umane, in società già segnate da un profondo cinismo. 

In questa fase di crisi ambientale e sanitaria, la democrazia rappresentativa liberale vive un restringimento degli spazi di partecipazione e vede un rafforzamento delle fazioni autoritarie. La classe media dei paesi ricchi si è ridotta di numero, la sua ricchezza è stata assottigliata verso il basso. Le distanze economiche tra Nord e Sud del mondo si sono complessivamente ridotte, ma le diseguaglianze interne ai singoli paesi sono invece aumentate ovunque: le élite sociali sono sempre più sfacciatamente ricche, mentre aumenta la massa di quanti si trovano a un passo dalla soglia di povertà relativa. Il dato più preoccupante è che milioni di famiglie hanno visto peggiorare la loro condizione economica da una generazione all’altra. Questo stato di cose gonfia il vento nelle vele dei partiti reazionari, i quali agitano lo spauracchio di un nemico, nascondendo così l’origine dei problemi e fomentando la rabbia cieca della piccola borghesia. Dunque, appare chiaro che sono due le grandi battaglie del nostro tempo, da cui discendono tutte le altre: fermare il riscaldamento globale (attraverso la drastica e immediata riduzione dell’emissioni di CO2) e invertire il trend delle diseguaglianze. Esiste, poi, una terza questione, che si intreccia alle prime. Nelle nazioni e nelle comunità in cui la condizione di determinate categorie sociali è peggiore, osserviamo una recrudescenza dei fenomeni di cui si accenna. Dove le minoranze sono discriminate, dove le donne subiscono ancora gli effetti della cultura patriarcale, dove le persone LGBTQI+ sono ancora stigmatizzate e fatte oggetto di violenza poiché non si adeguano a identità binarie, in quei luoghi queste crisi di vario genere si manifestano più duramente. Alla luce di questo quadro desolante, ci conforta sapere che queste battaglie si possono combattere soltanto congiuntamente. E’ quindi giunto il momento di affrontarle, facendo fronte comune. 

Sorge in molti di noi un forte bisogno di condivisione, in un periodo della storia in cui si diffonde sempre più la cultura del sospetto e dell’odio, in un clima di generale incertezza. Fondamentalmente, abbiamo tutte e tutti più paura. E la paura da sempre spinge l’uomo alle scelte più aberranti. Chiusi nella nostre case e nelle nostre piccole certezze, messe in crisi dal mondo circostante, cerchiamo risposte all’infinità di domande che abbiamo sul nostro futuro. Se queste risposte esistono, possono essere solo di natura condivisa e globale. Le persone devono unirsi, i popoli devono iniziare a parlare una sola lingua: la lingua della fratellanza e della solidarietà.
Nel mondo, in particolare in Europa, esistono centinaia di migliaia di associazioni, movimenti, partiti, sindacati, ONG, onlus che affrontano tutte le problematiche sopra elencate, molto spesso da una prospettiva particolare e specifica. Quello che siamo chiamati a fare ora è costruire un quadro valoriale, filosofico e politico comune: è necessario confederare le diverse realtà che si occupano di transizione ecologica e tutela ambientale, empowerment femminile, contrasto al razzismo, promozione dei diritti del lavoratori, diffusione della cultura scientifica e via di seguito, definendo una carta dei valori comune e una comune prospettiva politica unitaria. Il solo modo che abbiamo per influenzare con la necessaria velocità ed efficacia le politiche europee e nazionali è unire il fronte, e mettere in campo idee nuove, coerenti e coraggiose. Il riscaldamento globale non può attendere le nostre timidezze, le diseguaglianze non posso sopportare i nostri tatticismi, le destre peggiori degli ultimi settant’anni stanno già approfittando dei nostri egoismi. È ora di fare tutte e tutti un passo indietro rispetto alle proprie individualità, per farne due in avanti come collettivo, come fronte unitario. 

Non c’è più tempo: il solo tempo che ci resta, il migliore che abbiamo, è il presente. 

Francesco Ciancimino