“Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Così sosteneva Antonio Gramsci nel 1917 in uno dei suoi scritti più celebri. In questo pamphlet, egli riesce a mettere in chiaro come l’indifferenza, l’apatia e l’odio siano malattie difficili da combattere, cancri con radici profonde e spesse che pervadono i corpi. 

Così, lo scorso mese almeno 200 persone sono morte in mare, affogate tra l’indifferenza generale. Solamente il 21 settembre, 111 persone hanno lasciato il nostro mondo, donne e uomini che avevano sogni e speranze, ma soprattutto un’immensa voglia di salvezza. Vite troncate a causa di leggi indegne, che non dovrebbero avere casa in nessun Paese. Ed è proprio l’indifferenza che ha portato all’approvazione prima, e alla non abrogazione poi, di quell’abominio dei Decreti Sicurezza. Quell’indifferenza che per tanto, troppo tempo, ha lasciato in un angolo dell’agenda di governo un tema così centrale come la gestione dell’immigrazione, sia sul lato accoglienza sia sul fronte dei salvataggi. 

Il governo “Conte II” ha compiuto un anno di vita, e per la maggior parte della legislatura i “decreti Salvini” sono rimasti lì, immacolati. Tra l’immobilismo del Partito Democratico e il mutismo dei 5 Stelle, la gente è morta abbandonata: in mare, nelle strade. Quella che per il partito di spicco della sinistra italiana doveva essere una priorità per segnare una “svolta” rispetto all’esecutivo precedente, è marcita nel dimenticatoio per un’eternità. E le richieste della società civile, in primis quella legata al mondo dell’accoglienza, hanno riecheggiato nel vuoto. I pentastellati non si sono mai pentiti di quei decreti, e gli equilibri del governo a lungo sono dipesi (anche) da questa tematica. Allora io mi chiedo: questi giochetti di Palazzo valgono davvero più delle vite umane? 

Per cercare di non destabilizzare l’esecutivo, qualcosa si è mosso, e finalmente è stata approvata una modifica dei decreti sicurezza. Sottolineo il fatto che si parli di modifica, non di eliminazione. Nei vari punti del nuovo Decreto Immigrazione si può notare un tentativo – forse poco coraggioso – di annullare i decreti Salvini. Le modifiche normative intervengono in misura maggiore sul tema dell’accoglienza, mentre si dimostrano decisamente più timide sul fronte del salvataggio.

Il primo articolo è una semplice trascrizione del principio di “non refoulement” (non respingimento) che si trova all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, principio cardine dell’azione dell’UNHCR. In merito al soccorso in mare, si cerca di legalizzare l’azione di salvataggio delle ONG, purché rispettino i protocolli previsti dal codice della navigazione – comunicazione al centro di coordinamento della propria attività, chiedendo de facto un permesso per l’intervento – e siano provviste dei permessi necessari alla navigazione; in assenza di tali condizioni, possono scattare le sanzioni (il cui importo è comunque ridotto) alla fine di un processo penale e non più amministrativo; infatti, spetterà esclusivamente al giudice l’eventuale approvazione di sanzioni, riducendo quindi la possibilità che queste multe siano varate. Altri elementi di rilievo sono l’introduzione della “protezione speciale”, una sorta di permesso di soggiorno per comprovate motivazioni umanitarie e la riduzione dei tempi di trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), che passano da un massimo di 180 giorni a 90. L’aspetto più importante concerne il Sistema di accoglienza e integrazione: si potrebbe parlare di re-introduzione, in ragione della analogie con la rete Sprar, eliminata dai decreti sicurezza. Infine, i tempi di attesa per la richiesta della cittadinanza sono passati da 4 anni a 3, un periodo comunque più lungo rispetto al pre-decreti sicurezza (prima era due anni). 

L’auspicio è che la riforma possa contribuire a trasformare la tematica dell’immigrazione da “emergenza” a “fatto sociale”. Infatti, i decreti sicurezza sono stati l’esito dell’ondata sensazionalista, cavalcata dalle destre, che ritraeva (e continua a ritrarre) l’arrivo dei migranti come un’invasione del nostro Paese. Il bombardamento mediatico ha creato le condizioni per una legittimazione diffusa della linea “autoritaria” interpretata dal governo gialloverde e, di riflesso, ha finito per istituzionalizzare l’indifferenza. Il conflitto appare estremamente polarizzato: da una parte vi è la normalizzazione (leggi: sminuimento) del tema da parte della sinistra, all’estremo opposto vi è la completa demonizzazione. Due posizioni che non permettono di comprendere la questione nella sua complessità, laddove questa dovrebbe essere affrontata con un approccio pragmatico e, soprattutto, orientato a una soluzione a lungo termine. Quello fatto con la riforma è sicuramente un passo in avanti; tuttavia, non sufficiente. 

Ma un dito va puntato anche verso le istituzioni europee. Infatti, la proposta della Commissione per la modifica del Regolamento di Dublino presentata il mese scorso si configura come l’ennesima riforma debole e passiva. La responsabilità viene ancora rimessa  principalmente ai Paesi di primo ingresso, vale a dire quelli che si affacciano sul Mediterraneo, quindi Italia, Grecia e Spagna. La proposta offre tre diverse possibilità agli altri Stati dell’Unione: l’accoglienza dei migranti all’interno dei propri confini, il sostegno economico ai centri di accoglienza dei Paesi di sbarco o il finanziamento dei rimpatri dei richiedenti asilo. Per l’ennesima volta, le istituzioni comunitarie non hanno avuto il coraggio di avanzare regole ferree, in grado di dare attuazione a uno dei valori fondativi del progetto europeo: la solidarietà, non solo fra Stati membri, ma verso le persone in difficoltà. E sentire l’Unione Europea che condanna l’indifferenza nazionale, ma fa lo stesso gioco, è banalmente deplorevole. 

Questo modus operandi è caratterizzato, ancora una volta, dall’assenza di lungimiranza. I tentativi di risoluzione sono deboli, e comportano quindi una reazione passiva alla questione migratoria, tanto dell’opinione pubblica, quanto dei governi nazionali. Ciò si nota, ad esempio, nell’assenza di piani per la creazione di vie d’ingresso legali nel vecchio continente. Questa mancanza finisce per legittimare la propaganda sovranista che, come si accennava prima, ritrae i migranti che varcano i nostri confini come “invasori”, “clandestini” e “criminali”, rendendo le istituzioni europee a tutti gli effetti complici oltre che della narrazione, anche della morte di migliaia di persone.

Certo, sappiamo benissimo come l’indecisione e l’immobilismo dell’Unione dipendano direttamente dagli interessi nazionali, che finiscono per prevalere negli iter decisionali comunitari. Il blocco di “Visegrad”, con Polonia e Ungheria in testa, è noto per la sua ostilità verso le politiche di accoglienza: esso è riuscito a bloccare qualsiasi tentativo di progressione nell’integrazione e nell’approvazione di politiche veramente solidali. Stiamo parlando di Paesi che calpestano costantemente i diritti umani, cui le istituzioni europee rispondono con condanne di facciata, rendendosi complici di questi abusi.

In un continente e in un Paese che si professano “civili”, quando non “all’avanguardia”, non ci deve essere spazio per violazioni dei diritti umani, propaganda o, peggio, politiche segnate dal razzismo. L’indifferenza ha ucciso, tutt’ora uccide e continuerà a farlo. “Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti”.

Andrea Miniutti

Fonti