Assieme alla formazione del nuovo governo, il tema più caldo del momento è sicuramente il nuovo social media che sta spopolando tra gli utenti di tutte le età: ClubHouse.

Spiegato in maniera facile, si tratta di un social che permette di creare stanze tematiche dentro alle quali chiunque può entrare e, dopo aver alzato la mano e con la concessione da parte dei moderatori, prendere parte alla discussione parlando. Però, a differenza degli altri social, presenta una particolarità: l’accesso è limitato. Infatti, per poter accedere a ClubHouse bisogna innanzitutto possedere un prodotto Apple con iOS, mentre il secondo requisito fondamentale è ricevere un invito da parte di un altro utente. Dopo una settimana di utilizzo piuttosto intenso, posso sviluppare qualche riflessione a riguardo.

La membership limitata è il primo tassello del ragionamento che voglio portare. La necessità di un invito per far accedere altre persone alla piattaforma è parte della catena di responsabilizzazione che si viene a creare, in quanto il ban di un utente potrebbe comportare il blocco del profilo che ha fornito l’invito. Questo avviene per stimolare una condizione pacifica all’interno del social media, in modo da escludere i troll e rendere l’ambiente più consono al dialogo. Ciò comporta che gli speaker possono continuare le proprie conversazioni indisturbati, garantendo al pubblico un ascolto pulito e attento.

Tutti possono parlare, nessuno può scrivere: questo perché l’app non prevede chat testuali, (anche) per limitare la confusione generale. Ciò ha un’esternalità positiva, ovvero che la gente ascolta senza distrazioni, ma soprattutto pensa prima di parlare. Sembra un’assurdità evidenziare questo particolare, ma non lo è per nulla. I social media ci hanno insegnato quanto sia facile e veloce comunicare, tuttavia questa istantaneità ha eliminato -o limitato- quella fase di strutturazione di un pensiero che avviene – o dovrebbe avvenire – prima della sua espressione. 

Su ClubHouse, invece, i partecipanti interagiscono solo dopo la formulazione di un pensiero, soprattutto per evitare figure di palta poiché nessuno vuole sembrare “stupido” dinanzi a una platea, esattamente come quando si fa un intervento a una conferenza. Questo rende le discussioni sicuramente più ricche, sia di contenuti che di stimoli, e questa elaborazione di un intervento avviene tramite due tipi di ascolto: uno esterno, cioè per quanto riguarda la discussione che sta avvenendo nella stanza, e uno interno, in quanto stimoliamo il nostro cervello a lavorare e produrre. 

La bellezza di questo social media risiede pure nell’orizzontalità della piattaforma: la possibilità di incontrare e scambiare due parole pure con persone famose (in altri modi pressoché irraggiungibili) o di interagire con sconosciuti – che hanno comunque una miriade di conoscenze – è la stessa. E la cosa ancora più bella è che molti dei cosiddetti “vip” non hanno la minima intenzione o voglia di monopolizzare l’attenzione su di essi, ma son lì per ascoltare e confrontarsi con chiunque. Proprio loro che sono sempre sotto i riflettori perché hanno qualcosa da dire, partecipano per ascoltare esattamente come tutti. Forse involontariamente, ClubHouse è riuscita a rendere quasi anonime molte persone che sono ben note ai più.

Nelle stanze vige il rispetto per chi parla, e questo è una conseguenza di ciò che ho evidenziato fino ad ora. Attenzione e curiosità portano al pieno ascolto degli interventi, sintomi del rispetto sopraccitato che consentono l’instaurazione di un vero e proprio rapporto con le persone all’interno della stanza. Questa condizione ha una bellissima conseguenza: si creano relazioni pure d’amicizia. Infatti, spesso mi è capitato di contattare su Instagram alcuni speaker con cui ho avuto il piacere di interagire, per poi organizzare nuove stanze con questi e così via. La possibilità di tessere ampissime reti di conoscenze è altissima, anzi è stimolata.

Quindi, si potrebbe dire che ClubHouse sia un social media al contrario, in quanto promuove l’utilizzo attivo del cervello e punta alla responsabilizzazione degli utenti. Non lascia impunite le azioni d’odio e crea le condizioni per un dibattito ordinato. Ma soprattutto, ci ha fatto riscoprire la bellezza dell’ascolto.

Andrea Miniutti

Fonti