Care Sardine la casa del Pd non va occupata, ma totalmente ristrutturata, proviamoci insieme“. Parla così Agostino Biondo, segretario romano dei Giovani Democratici rivolgendosi in una lettera al gruppo di attivisti ittici che dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario sono entrati nella sede dei dem in piazza del Nazareno con tende e sacchi a pelo per chiedere di aprire una fase costituente. “Quando vi abbiamo visti entrare nel palazzo del Nazareno non possiamo nascondere di aver sentito violata la nostra casa, abbiamo pensato che non aveste il diritto di occuparla senza neanche aver prima provato ad abitarla – scrive Biondo – quella è la casa del centrosinistra e non deve essere occupata, ma completamente ristrutturata. Per farlo c’è bisogno di popolarla di nuovo entusiasmo, ma anche di una nuova giovane classe politica. Proviamoci insieme. Venite a vedere com’è questo partito quando non ci sono le telecamere, e proviamo a ragionare insieme su come vogliamo che sia da domani”.

La proposta di lavorare insieme al futuro del Pd nasce da una serie di constatazioni amare sull’attuale crisi politica (ma anche sociale e culturale), che per Biondo colpisce la generazione dei Giovani democratici e delle Sardine: “Siamo circondati dal menefreghismo, dal disinteresse, dalla disaffezione e la vostra comparsa nel dibattito pubblico è riuscita, in parte, a penetrare l’aura di indifferenza e il generale clima di sfiducia che avvolge la nostra generazione – scrive Biondo rivolgendosi alle Sardine – Buona parte della responsabilità ricade sul Partito Democratico e, per vicinanza anagrafica, su di noi, che del Pd siamo l’organizzazione giovanile, i Giovani Democratici”.

Un fallimento che per Biondo deriva dall’incapacità di “farci interpreti di un fronte generazionale in grado di dare una chiave di lettura a questa difficile fase politica, economica, sociale e culturale e trasformarla in una battaglia di giustizia sociale che tirasse fuori noi giovani dalla nostra condizione, dominata dall’isolamento, dalla precarietà, dall’incertezza, dal senso di inutilità ed inadeguatezza che ci pervade”.

Bisogna però continuare a combattere “all’interno di un Partito, in quanto sono proprio i partiti i soggetti a cui la nostra Costituzione affida il compito di determinare la Politica nazionale” e per costruire il futuro bisogna che il Pd sia “libero da questo correntismo esasperato, più forte e più capace di svolgere la funzione che voi Sardine e la società tutta vi aspettate da esso”.

Partendo da una consapevolezza che secondo Biondo non riguarda solo i dem ma anche i destinatari della sua lettera: “Sia noi che voi abbiamo ancora molto da fare se intendiamo essere realmente riconosciuti dai nostri coetanei. Sia le vostre piazze che la nostra organizzazione non sono riempite da coloro per cui dovremmo lottare, dagli esclusi, dagli emarginati, né dai nuovi poveri né soprattutto dalle nuove giovani povere: la stragrande maggioranza di loro ha perso le speranze, e non pensa che ciò che noi e voi facciamo quotidianamente serva a migliorare realmente le loro vite”.

Cari Giovani Democratici, 

l’”occupazione” del Nazareno è stato un atto simbolico che non deve passare come un’invasione di campo.

Al contrario, noi al Nazareno dovremmo sentirci accolti esattamente come voi e altri militanti vi siete sentiti a casa nelle nostre piazze, proprio perché non erano nostre ma erano luoghi liberi: dai personalismi, dalla conflittualità dalle correnti, dall’autoreferenzialità.

Sappiamo che all’interno della vostra comunità c’è chi sta strumentalizzando le nostre posizioni per ricompattare il partito, ma vi invitiamo ad uscire dalla semplificazione Nazareno VS estranei.

Noi siamo per la costruzione di un campo largo. Non siamo noi i vostri nemici, sapete dove trovarli. La nostra fin dall’inizio è stata una proposta complementare, esplicitata nel primo articolo del nostro manifesto: “Le sardine promuovono la cittadinanza attiva come pratica politica: un antidoto all’indifferenza e una forma di resistenza ai populismi, ai sovranismi e ai personalismi di ogni sorta.”

Se i nostri contributi non hanno saputo trovare una sintesi è perché l’effetto respingente che molti dei vostri iscritti respirano all’interno noi lo percepiamo da fuori. Abbiamo lo stesso problema: guardare impotenti quello che dovrebbe essere il partito delle persone chiuso nei palazzi, distratto dai suoi conflitti interni, incapace di innovare, produrre riscatto per gli ultimi e i penultimi.

Fuori dal PD – e dentro – c’è un mondo, ci sono energie, c’è voglia di cambiamento e di mettersi in gioco.

Ci sono voci che non vengono ascoltate e orecchie a cui non arriva più la voce della giustizia sociale, della speranza. Questo alla lunga produrrà ulteriore frammentazione di un campo che invece dovrebbe essere espressione di unità, di una politica come bene comune. Non vogliamo essere la milleunesima sigla, non ci appassionano le etichette e gli steccati. Siamo certi che la stessa voglia di cambiare c’è anche al vostro interno, sappiamo quanti sacrifici richiede militare in un partito, quanta passione richiede provare a cambiare il mondo da dentro, quanto potremmo imparare da voi in termini di metodo e coscienza politica.

Ma non basta dire “entrate”, se non si prepara un luogo accogliente.

Il congresso dei GD , il vostro, bloccato da due anni non è un bel biglietto da visita così come sicuramente il nostro approccio “laico” potrebbe farci apparire inopportuni ai vostri occhi. Ognuno ha i suoi nodi da sciogliere e le proprie responsabilità, ne abbiamo parlato spesso, nelle piazze, nelle campagne che abbiamo condotto insieme, nei vostri circoli e alle iniziative elettorali.

Non è il tempo dei processi. Ma abbiamo bisogno di un luogo di confronto vero, che permetta di incontrarsi, costruire, abbattere i pregiudizi che esistono in entrambe le direzioni. Il dialogo è un atto concreto: questo volevamo affermare quando abbiamo imbracciato le tende e ci siamo recati in quella che oggi viene percepita come una torre d’Avorio per essere considerati e ascoltati. E lo ripetiamo per evitare incomprensioni: il problema non è il luogo tanto meno il simbolo, ma chi lo abita e come lo abita. Lasciamo da parte le polemiche e troviamo uno spazio che sia di tutte e tutti, temporaneo ma comune, dove scrollarsi di dosso il “noi” e il “voi”. Un luogo in cui dialogare con pari dignità di interlocuzione mettendo al centro i temi. 

Un luogo dove l’impegno istituzionale e la cultura politica dell’ampio panorama del centro sinistra – anche nel suo senso più radicale – possano incontrarsi e convergere in una proposta concreta e vicina ai cittadini. Basterebbe piantare le tende su un prato sotto le stelle e sopra una collina. Ci aiuterebbe ad uscire dalla comfort-zone e a vedere meglio l’orizzonte. Magari da un accampamento nascerà un villaggio.