Il sistema globale di produzione alimentare si basa in larga misura sull’agroindustria fondata sui processi industriali di un’agricoltura non sostenibile. L’agroindustria è la principale fonte di emissione di gas che causano l’effetto serra, si trova sotto il controllo di un ristrettissimo numero di grandi società e immette sul mercato prodotti sempre meno salutari.

Per decenni gli attivisti ecologici, i ricercatori universitari, il personale delle ONG, i contadini, gli imprenditori agricoli, quelli cioè che definiamo agroecologisti, sono stati ignorati e ridicolizzati dall’establishment, che si è premurato di etichettarli come sognatori, predicatori, estremisti, ciarlatani.

Per la prima volta la FAO a Roma, il 18 e 19 dicembre 2014, dedicò ufficialmente un incontro all’agroecologia definendola “un’opzione promettente e una possibilità, tra le altre, come gli OGM e la riduzione dell’impiego dei prodotti chimici”, allineandosi alle posizione della Banca Mondiale e della Monsanto.

L’Alleanza contadina globale, detta La Via Campesina (LVC), tenne un forum internazionale sull’agroecologia nei giorni 24-27 febbraio 2015 a Nyèléni nel Mali in Africa occidentale, alternativo a quello della FAO di qualche mese prima. L’agroecologia è stata lì definita come uno strumento di trasformazione e venne deciso di accordarsi per una collaborazione attiva tra diversi settori (coltivatori, lavoratori, popolazioni indigene, nomadi, consumatori, pescatori, poveri delle aree urbane, ecc) nei vari continenti per difendere l’agroecologia e costruirla dal basso.

Nella dichiarazione scaturita da quell’incontro i delegati dissero che “L’agroecologia è politica, ci richiede di sfidare e trasformare le strutture di potere della società.

Cos’è l’agroecologia?

L’agroecologia è conosciuta in varie modalità: è la scienza che studia e cerca di spiegare il funzionamento degli agrosistemi, interessata soprattutto a meccanismi, funzioni, relazioni e progetti di natura biologica, biofisica, ecologica, sociale, culturale ed economica.

Ma è anche l‘insieme di pratiche che permette di coltivare la terra in modo più sostenibile senza servirsi di prodotti chimici pericolosi per la salute; ed è pure un movimento che si sforza di rendere l’attività di produzione agricola più sostenibile sul piano ecologico e più equa su quello sociale.

I vantaggi riconosciuti scientificamente dell’agroecologia sono una maggior produttività, i costi ridotti, il minore impatto e il minore danno sull’ambiente, l’incremento a lungo termine della sostenibilità dell’agricoltura e in particolare la conservazione della biodiversità.

La biodiversità è resiliente.

Il complesso di entità biologiche intorno a noi, quindi la varietà della vita sul nostro pianeta è la biodiversità che dobbiamo custodire ed aumentare.

La biodiversità agricola è la diversità fra specie coltivate per scopi alimentari e medicinali. L’agroindustria punta invece sulle monocolture intensive dipendenti da sementi e prodotti chimici di sintesi (fertilizzanti, fitofarmaci e diserbanti) immessi sul mercato mondiale da poche industrie produttrici, sia di sememti sia di prodotti chimici, che si sono accorpate in tre gruppi dominanti: Bayer Monsanto, Syngenta chemchina, Dow DuPont.

Con la cosidetta “Rivoluzione Verde” degli anni ’60 e ’70 del 900 questi prodotti vennero immessi nel mercato mondiale partendo dal cosiddetto “Terzo mondo”. In quegli anni la produzione alimentare aumentò, ma si fondava su una base assai ristretta, concentrata in pochissimi prodotti e una minoranza di produttori, col risultato che anche la fame nel mondo incrementò in quello stesso periodo di tempo.

L’agroecologia viene proposta come alternativa ai limiti della “Rivoluzione Verde”.

Le multinazionali sementiere producono semi ibridi non rinnovabili e quindi non sostenibili. L’agricoltore deve comprare semi freschi ogni volta che vuole seminare. Così la biodiversità agricola e ambientale si esaurisce contrastando la pratica degli agricoltori produttori anche di semi che possono riprodursi eternamente adattandosi alle situazioni ambientali e climatiche nelle varie parti del mondo.

Bisogna perciò passare dall’acquisto di prodotti alimentari messi sul mercato dall’agrobusiness all’acquisto di prodotti diversificati di agricoltori locali.

L’agricoltura globalizzata utilizza l’uniformità e la standardizzazione per marginalizzare i piccoli agricoltori e la biodiversità.

La biodiversità, insieme alla coltivazione biologica fanno aumentare i redditi degli agricoltori, portando a zero i costi dei prodotti chimici e dei semi ibridi e lo sfruttamento da parte dei mediatori e delle multinazionali.

I bassi prezzi dei prodotti alimentari dell’agrobusiness fanno ricadere sui costi pubblici statali gli effetti sull’ambiente e sulla salute dei consumatori, nonché i sussidi dei governi per sostenere gli agricoltori che non si mantengono coi bassi ricavi a loro imposti dalle grandi aziende commerciali.

Purtroppo anche per l’allevamento delle specie animali la biodiversità si esaurisce con la selezione delle razze più adatte ad allevamenti intensivi e ad alto profitto per la commercializzazione delle carni.

L’agroindustria alimentare intensiva è anche la maggiore responsabile del consumo di acqua dolce disponibile nel pianeta e della produzione di CO2 nell’intera filiera produttiva.

L’agroforestazione

E’ il sistema biologico che unisce coltivazioni agricole a impianti di alberi di varie specie per aumentare la biodiversità e la positiva simbiosi tra alberi e colture alimentari. Piantare alberi a lato delle coltivazioni agricole crea inoltre un paesaggio utile all’assorbimento della CO2 e migliore per l’ecosistema nel suo complesso e in particolare per gli uccelli e gli insetti.

La biodiversità agricola garantisce livelli più alti di biodiversità del suolo, per la grande quantità di sostanza organica alimentata dai prodotti della fotosintesi, sia delle piante sia di microrganismi come alcuni batteri.

La perdita di biodiversità è ora definita come pericolo dell’estinzione dell’Antropocene, nuova era dominata dall’azione dell’uomo. La causa principale dell’estinzione è ritenuta essere il disboscamento e la distruzione di habitat attuato per fare spazio a livello mondiale all’agroindustria in particolare della soia e dell’olio di palma.

Il lavoro delle Nazioni Unite degli ultimi 30 anni dimostra che i sistemi agroecologici ad alto tasso di biodiversità producono più cibo di migliore qualità nutrizionale per ettaro, sono conservativi rispetto alla fertilità del suolo, e non affamati di terra come i sistemi monocolturali convenzionali ad alto consumo di chimica.

I sistemi biologici gestiti con le migliori pratiche di agroecologia mantengono la biodiversità, sono ad alta resa, aumentano la resilienza a fronte dei cambiamenti climatici sia dei territori sia delle specie vegetali e animali, riducono gli impatti ambientali dovuti alla conservazione e trasporto dei prodotti e incentivano la vendita diretta tra produttore e consumatore nei mercati locali contadini.

Il messaggio di tutta la comunità agricola alimentare e forestale è chiaro: “Non può esserci Green Deal senza il settore agricolo.” E’ tempo di sollecitare il governo e le istituzioni verso un impegno concreto volto al miglioramento dell’attuale modello di sviluppo, è tempo di guardare alla sostenibilità ambientale non come un problema a sé, ma come il terreno comune su cui immaginare e mettere in pratica la società del futuro.

Il nostro.

Stefano Ramazza

Fonti

  • Shiva V., Leu A. (2019), Agroecologia e crisi climatica. Le soluzioni sostenibili per affrontare il fallimento dell’agroindustria e diffondere una nuova forma di resilienza, Firenze, Terra Nuova Edizioni. 
  • Artieri M. A., Rosset P. (2019), Sulla via della madre terra. Agroecologia: una rivoluzione tra scienza e politica, Arezzo, Edizioni Aboca.